(Seasons Of Mist, 2012)
1. Eternal Circle;
2. Breath of Cold Black Soil;
3. When Gods Leave Their Emerald Halls;
4. Farewell to Autumn’s Sorrowful Birds;
5. Night Woven of Snow, Winds and Grey-Haired Stars
Chi segue il black metal più in profondità e da un po’ di tempo sicuramente conoscerà gli ucraini Drudkh, gruppo formato da ex membri di Hate Forest e Astrofaes e successivamente confluiti anche in progetti più recenti come Blood Of Kingu e Old Silver Key (ennesimo progetto che vede come cantante Neige dei ben più noti Alcest) che però non rispecchiano la qualità dei progetti madre. Nello specifico, i Drudkh, hanno esordito col botto pubblicando quattro ottimi album in quattro anni, su tutti Forgotten Legends e Autumn Aurora, caratterizzati da un black metal molto naturalistico che alla violenza e alla rozzezza preferisce incentrarsi sulle atmosfere senza dover per forza scendere nel sinfonico e melodico che sia. Successivamente la qualità espressa dal gruppo è andata scemando inesorabilmente, toccando il fondo dopo il passaggio alla Seasons Of Mist e la pubblicazione di Microcosmos e, soprattutto, Handful Of Stars.
Eternal Turn of the Wheel mostra che qualcosa è cambiato, forse Roman Saenko si è accorto che la sua creatura stava scivolando verso lidi imbarazzanti e ha voluto correre ai ripari. Inaspettatamente il disco sembra essere una regressione, termine che potrebbe essere inteso negativamente, ma non questa volta: gli ucraini hanno voluto riprendere la lezione che avevano impartito qualche anno fa e da lì sono ripartiti, strizzando l’occhio un po’ alle atmosfere di Autumn Aurora e alle musiche di Estrangement. Il songwriting appare compatto lasciando ad ogni strumento il suo spazio senza che nessuno sovrasti gli altri, al contrario di quanto avvenuto nel recente passato con stacchi di basso più che irritanti, con le linee vocali di Saenko a dirigere il tutto e con un ottimo apporto delle tastiere (come in “When Gods Leave Their Emerald Halls” o in “Breath of Cold Black Soil”). “When Gods Leave Their Emerald Halls” è anche il brano che ha fatto da apripista all’album, essendo stato messo a disposizione qualche giorno prima dell’uscita ufficiale ed in esso si ritrovano tutti gli elementi che hanno caratterizzato i Drudkh sin dagli esordi: atmosfere autunnali, tastiere eteree ed un tappeto di batteria sempre ottimale, distribuito fra mid tempos ed accelerazioni nei passaggi topici; la sorpresa è il finale acustico che, se da un lato magari vorrebbe richiamare Songs Of Grief And Solitude (uscita composta da brani totalmente in acustico), dall’altro risulta abbastanza pacchiano e melenso, soprattutto nei suoi accenni agli ultimi Alcest. In generale Eternal Turn of the Wheel risulta bello compatto e studiato, e sono queste caratteristiche a renderlo solo un buon album, probabilmente destinato al dimenticatoio nel giro di qualche mese; la naturalezza tipica degli ucraini pare svanita, il tutto risulta molto lineare e quasi noioso in certi passaggi.
E’ difficile riassumere tutto ciò in un numero per due motivi molto semplici: il passo in avanti, o indietro se vogliamo, è notevole perché finalmente i Drudkh ritornano su buoni livelli, oltrepassando la mediocrità dei due precedenti album, ma effettivamente Eternal Turn of the Wheel è destinato a ricevere pochi ascolti, soprattutto da chi ha adorato le primissime uscite del gruppo. Lodiamo quindi le intenzioni e premiamo il momento, ma nei successivi anni probabilmente in pochi si ricorderanno di queste cinque canzoni.
7