(Victory Records, 2012)
01. Insert Coin
02. Protoman
03. She Gave Her Heart To Deadpool
04. I Am Onslaught
05. Bison Diaries
06. Poltergeist
07. Cross Over Attack
08. Umar Dumps Dormammu
09. Blackheart Reigns
10. MDMA
11. War Begins With You
12. A.I
Tornano a distanza di un anno dal precedente lavoro gli Emmure, col nuovo album chiamato Slave to the Game licenziato dalla solita Victory Records, etichetta tra gli altri di bands sulla cresta dell’onda come A Day To Remember e Comeback Kid (oltre ad aver avuto recentemente tra le sue fila bands dall’innato valore come Between The Buried and Me e Funeral for a Friend).
Sulla cresta dell’onda come i gruppi sopraccitati (o forse anche più) ci sono gli Emmure, che dopo il fortunato Speaker of the Dead, che li ha consacrati come next big thing nell’ambito metal hardcore, ritornano con un disco nuovo di zecca che farà felici tutti gli appassionati del death core infarcito di breakdowns e similia.
La Victory Records nei primi anni di vita era la mecca per ogni band hardcore, produceva bands del calibro di Bad Brains, Sick of it All, Madball, Strife, Integrity (potremmo andare avanti all’infinito) e le uscite erano tutte di un certo livello; da qualche anno a questa parte le cose sono cambiate. Passino gli A Day To Remember che ormai riempiono addirittura palazzetti dello sport, ma bands come Design The Skyline e The Bunny The Bear sono tra le più ridicole che si siano mai viste e nonostante questo la Victory Records li ha messi sotto contratto (o addirittura si dice li abbia creati), e a detta di molti questo è davvero troppo.
Gli Emmure in questo frangente di mediocrità sono il meno peggio, non brilleranno certo di inventiva ma rappresentano una realtà molto più solida e vera di quanto i gruppi di cui sopra mai rappresenteranno.
Passando al nuovo lavoro della band originaria del Queens, questo Slave to the Game non si allontana dalle precedenti produzioni della band capitanata dal frontman Frank Palmeri, e si muove su coordinate che vedono voci brutali sovrastare breakdowns posti in ogni pezzo, che faranno la felicità dei tanti amanti del mosh core.
In tutto questo però ci sono dei passaggi che riprendono Felony (targato 2009), con l’uso smodato di riff di chiara matrice nu metal à la Slipknot e vocalizzi quasi in stile rap fatto dai tanto odiati Limp Bizkit dei tempi d’oro in un calderone dal sapore molto retrò.
Su questo schema si muovono il primo singolo “Protoman” e “Crossover Attack” (il nome sarà solo un caso ?) che risultano anche essere le più solide dell’intero lotto con il loro mood street anni 90 che ci fa tornare indietro ai tempi del redcap messo al contrario.
Non vi sono blastbeats, né tempi grind, ma pezzi come “Blackheart Reigns”, “Bison Diaries” e “I Am Onslaught” sono concentrati di 3 minuti scarsi intrisi di violenza sonica unita a mosh che accompagnano i vocalizzi alle volte rap e alle volte in growl e scream di Frank Palmeri, uno dei personaggi più controversi dell’hardcore moderno.
Discorso a parte meritano i testi e l’artwork del disco che si ispirano all’amore del frontman per il videogame Street Fighter come si può intendere dalla tracklist: gli Emmure ci avevano abituati ad un odio smodato per il genere femminile ma questa volta la misantropia a senso unico (tanto cara al nostro Giulio The Bastard) è stata messa da parte.
La ripetitività c’è e si sente ma almeno gli Emmure risultano essere un attimo più interessanti dei tanti colleghi di etichetta e nel bene o nel male rappresentano una sicurezza nell’ambito metal hardcore di nuova fattura.
Certo, ci sarebbe un intero discorso da fare sulla qualità delle nuove bands, ma questo non è né il luogo né il momento.
Concludiamo dando a questo Slave to the Game una sufficienza sulla fiducia per qualcosa di migliore nel prossimo futuro.
6.0