(Roadrunner Records, 2013)
1. Shepherd of Fire
2. Hail to the King
3. Doing Time
4. This Means War
5. Requiem
6. Crimson Day
7. Heretic
8. Coming Home
9. Planets
10. Acid Rain
11. St. James
Aspettavo questo album da tempo, soprattutto dopo la parziale delusione di Temper Temper dei Bullet For My Valentine. Sono particolarmente affezionato agli AvengedSevenfold, tanto che farei fatica a parlarne in negativo. Ricordo bene i tempi in cui iniziarono con un hardcore-screamo sullo stile dei Killswitch Engage e Shadows Fall, e ricordo la loro escalation con l’uscita del loro terzo full-length City Of Evil. Abbandonare le loro radici “core” per passare a sonorità metal più moderne, quasi commerciali, fu una scelta piuttosto azzeccata ai tempi, tanto da portarli ad essere paragonati gli eredi dei Metallica, i nuovi “five” horsemen.
Si è parlato molto spesso in questi ultimi anni degli Avenged Sevenfold: la band era capace di riempire qualsiasi arena americana, poi dopo la morte di The Rev (compianto batterista e fenomenale seconda voce) e l’ingresso, seppur temporaneo, del leggendario MikePortnoy arrivarono la fama ed i soldi.
Ecco, forse proprio l’aumento di popolarità ed il denaro hanno portato pian piano la band californiana a diventare clone di sé stessa, facendogli perdere la bussola da ciò che la contraddistingueva e portandola ad una lenta ed agonizzante autodistruzione. Già dall’uscita del singolo “Hail To The King” qualche settimana fa, si avvertiva aria di fallimento, ma ciò nonostante ho preferito aspettare, prima di dare un giudizio troppo affrettato. Con l’album Nightmare qualche tendenza al cambiamento si era percepita, e fortunatamente, anche grazie anche ad un mostro sacro come Portnoy (comunque criticato dai metalcorers) che aveva contribuito alla stesura dei brani, si era arrivati ad un risultato sufficientemente ascoltabile. Tuttavia, chiudere col passato, ancora una volta, e ambire sempre più ad un groove classico, appare ora come una scelta senza dubbio fallimentare, che rende questo Hail to the King un disco al di sotto di ogni previsione, un disco lento, insipido, e a tratti banale. Certo, il suono risulta buono, moderno, è un disco ottimamente prodotto ma senz’anima.
Facendo un’analisi veloce dei brani “Shepherd of Fire”, il brano d’apertura, è un’evidente riproduzione di “Enter Sandman”, mentre “Hail to the King” non può assolutamente essere il singolo di lancio dell’album, perché per gli standard degli A7X di qualche anno fa sarebbe stato un brano di scarto; “Doing Time” è un plagio ai Guns ‘n Roses ed ai Velvet Revolver. “Requiem” ha una intro da paura, da fare invidia ad un disco dei Children of Bodom, ma poi il brano si riammala di quel groove troppo semplice ed elementare. In breve: scordatevi per sempre i vecchi tempi, questo album è un collage di The Black Album, Use Your Illusion, The Razors Edge e Contraband; questi non sono i veri Avenged Sevenfold… è un passo falso, firmato Roadrunner!
5.0