(Sargent House, 2014)
1. Melody
2. Vanilla
3. Ghost Of Romance
4. Heavy Rain
5. Taiyo No Baka
6. Angel
7. Quicksilver
8. Siesta
I Boris: croce e delizia di ogni recensore. Probabilmente uno dei gruppi più eclettici mai esistiti, capaci di cambiare genere musicale da un album all’altro, pur senza mai perdere il loro sound e la loro identità. Assoluta peculiarità di questa formazione è la capacità di integrare influenze estremamente disparate all’interno dei propri lavori: ambient, noise, drone, sludge e rock psichedelico.
I Boris non hanno mai voluto essere catalogati, e il loro ultimo lavoro, Noise, li rende ancor meno classificabili. Iniziamo dal titolo stesso, che rappresenta un delizioso controsenso: Noise è l’album dei Boris con meno passaggi puramente noise in assoluto, ed è probabilmente uno dei loro lavori più ariosi e melodici. Si potrebbe dire che, con questo disco, i Boris abbiano voluto esprimere una parte del loro sound che non erano riusciti a sviluppare pienamente in passato. Rispetto ad altri album iconici della loro discografia, come per esempio Pink, Noise è decisamente più accessibile, ma non per questo meno profondo. L’album, a differenza di Pink, è estremamente omogeneo, e scorre con gran facilità. Raccomando l’ascolto dell’album completo a dispetto dell’analisi frammentaria, poiché Noise va vissuto nella sua interezza, al fine di poter essere digerito e analizzato. Nonostante l’omogeneità qualitativa, non mancano i picchi di eccellenza, come “Heavy Rain”, che con la sua melodia “catchy” ma assolutamente non ruffiana si alza di una spanna buona sopra gli altri pezzi del platter. Altro highlight dell’album è “Melody”: shoegaze, rock psichedelico e tonnellate di distorsioni impensabili. L’outro di “Melody” è uno dei punti più alti raggiunti dall’album. I suoni, vero e proprio trademark del gruppo, non deludono assolutamente: l’ascoltatore è avvolto da un muro sonoro estremamente denso, a tratti quasi claustrofobico. Strati e strati di sovraincisioni donano al platter un atmosfera quasi shoegaze.
Probabilmente, l’unica grande pecca di Noise è proprio il suo più grande pregio: la sua omogeneità. L’album scorre senza problemi ma, una volta passato, non rimane niente. È certamente un album profondo, ma l’unico modo per goderne appieno è quello di ascoltarlo tutto d’un fiato, così da poter cogliere una quantità immensa di sfaccettature che con l’ascolto frammentario si perdono.
7.5