Sono passati ben cinque anni dall’ultima fatica omonima, ma nessuno aveva mai scordato l’impatto devastante di quel lavoro del 2012. Con quel primo lavoro i Dodecahedron avevano scritto un’importante capitolo della musica dissonante, pur dimostrandosi ancora derivativi sotto certi aspetti, tanto da venire annoverati negli anni a venire come un fulmine a ciel sereno. Il punto è: quanto resta di un’idea, di un concetto dopo cinque lunghi anni nella mente di un musicista? La risposta a ben vedere è la più scontata che si possa pensare. Tutto e niente. Kwintessens è questo, sia il punto fino ad ora più pregiato di un percorso musicale tra i più ardui sia la parte (per così dire) più imponderabile del lotto. Perché mai imponderabile è presto detto, la ricchezza di spunti di questo secondo lavoro è infatti talmente ampia da declassificarla automaticamente da ogni paragone col passato.
I Dodecahedron si divertono fin da subito a sorprenderci con un’intro che odora pericolosamente di industrial e post, salvo fare un passo indietro con il sopraggiungere bombastico di “Tetrahedron”, riprendendo a mano le vecchie coordinate e fondendole con un incipit dal vago retrogusto technical/progressive fino, schiaffeggiandoci sul finire con una conclusione midtempo di stampo post. Il succo sta tutto qui, gli olandesi ci dimostrano fin da subito che l’animo più puro, la forma più pregiata di arte non è la purezza stilistica immobile e morta, bensì la sua antitesi più acerrima, la contaminazione, la variazione, quella capacità dell’artista di osare e mutare di continuo pur mantenendo un’immagine conosciuta al punto di rassicurarci. Kwintessens sorprende ad ogni singola traccia per la fluidità della composizione, pur unendo sezioni a primo ascolto inconciliabili ed utilizzando soluzioni che mai avremmo pensato di sentire nella musica dei Dodecahedron.
Per certi versi si tratta di un lavoro meno cervellotico del fratello minore, la tecnica e la dissonanza ricercata hanno lasciato il posto alla pura composizione, quasi si trattasse di un flusso di coscienza. Inserti industrial, post, math ed un groove pazzesco (sapientemente dosato) fanno da altare per un ermetismo senza pari, andando a confezionare quello che rischia seriamente di essere uno dei migliori album black metal del 2017.
(Season of Mist, 2017)
1. Prelude
2. Tetrahedron – The Culling of the Unwantend from the Earth
3. Hexaedron – Tilling the Human Soil
4. Interlude
5. Octahedron – Harbinger
6. Dodecahedron – An Ill-Defined Air of Otherness
7. Finale
8. Icosahedron – The Death of Your Body