(Epitaph, 2012)
1. Aimless Arrow
2. Trespasses
3. Tender Abuse
4. Sadness Comes Home
5. Empty On The Inside
6. Sparrow’s Fall
7. A Glacial Pace
8. Vicious Muse
9. Veins And Veils
10. Coral Blue
11. Shame In The Way
12. Precipice
13. All We Love We Leave Behind
14. Predatory Glow
I Converge sono una band che, pur mantenendo ben definita la propria cifra stilistica, ha saputo rinnovarsi gradualmente, aggiungendo ad ogni uscita un tassello – a volte più piccolo, altre più grande – fondamentale per poi arrivare a ricostruire il puzzle finale. Con All We Love We Leave Behind hanno compiuto un ulteriore passo avanti sulla strada intrapresa con Axe To Fall, ovvero quella della definitiva metallizzazione del loro sound. Kurt Ballou è senz’altro il principale fautore di questo cambiamento: i suoi riff prima sembrano mitragliate a metà tra il thrash (“Trespassor”) e certo hardcore/metal vecchia scuola (i Discharge come al solito fanno capolino), e poi vanno addirittura a sconfinare in territori più heavy (nella sorprendente “Sadness Comes Home”). A questo aggiungiamo che con All We Love We Leave Behind prosegue il progressivo allontanamento dai rabbiosi esordi e dalla parentesi più intimista di You Fail Me, in favore di un mood più oscuro e post-apocalittico, e avremo un’idea generale di come possa suonare questo album.
Altro aspetto interessante – che forse dice più di quanto potrebbe sembrare sui reali intenti della band riguardo questo disco – è il ritorno ad una spiccata forma di autarchia, in ottica quasi completamente do-it-yourself: niente collaborazioni esterne, che in Axe To Fall fioccavano e andavano a toccare alcuni dei nomi più “trendy” del settore (Steve Von Till in primis), produzione come di consueto affidata al ferratissimo Ballou e promozione pubblicitaria ai minimi storici. Solo loro quattro, liberi di creare. E questo approccio alla lunga affiora in maniera piuttosto palese: Jacob Bannon si lascia andare più volte ad un cantato fuori dai canoni, Kurt Ballou sperimenta arrivando a volte anche ad esagerare, e in generale la struttura dei pezzi è quanto mai varia (i ‘vecchi’ Converge non avrebbero mai osato un’opener come “Aimless Arrow”), meno legata all’irruenza degli esordi; anche se, a onor del vero, con risultati non sempre all’altezza.
Ma la vera sorpresa è un’altra: per una volta il ruolo di centro gravitazionale del sound della band non è coperto da Kurt Ballou. O meglio, la sua posizione è meno dominante che in passato (sarà subentrata anche un po’ di assuefazione?). A farla da padrona nei nuovi Converge è la sezione ritmica. Riascoltando il disco diverse volte risulta sempre più evidente, soprattutto nei pezzi veloci. Cosa è cambiato? Ballou ha perso un po’ di ispirazione, o l’accoppiata Newton-Koller ha raggiunto livelli d’intesa e di creatività prima soltanto sfiorati? Un po’ entrambe le cose. Di certo pezzi come “Aimless Arrow” o la tellurica “Tender Abuse” non lasciano dubbi circa la seconda ipotesi: Koller è in forma smagliante, vario ed esplosivo come mai prima d’ora, una vera macchina da guerra. Una prestazione eccezionale la sua, che a livello d’impatto e di rilevanza sul sound nel suo complesso non ha niente da invidiare a quelle del primo Brann Dailor (quello di Leviathan, per chiarirci). E no, non sto bestemmiando. Certo, le caratteristiche delle due band sono diverse, ma come esempio è calzante; una sezione ritmica così in primo piano non la si sentiva dai tempi di Jane Doe.
Allora, date queste premesse, com’è All We Love We Leave Behind? Partiamo subito col dire che il disco può essere idealmente spezzato in due tronconi: uno più tagliente e diretto, se vogliamo più tipicamente convergiano, l’altro caratterizzato da atmosfere plumbee e ritmiche rallentate. Dei due, il primo è quello che contiene i pezzi di maggior spessore: “Trespass” è una martellata metallica in cui gli il thrash metal incontra il d-beat, il tutto suonato con un’attitudine hardcore che inchioda al muro; “Tender Abuse” è un’altra scheggia impazzita, che in un minuto e mezzo concilia approccio grindcore, blast-beats e breakdown spezzaossa in chiusura; “Sparrow’s Fall” colpisce fulminea e impetuosa e lascia senza fiato (tanta violenza forse non la si sentiva addirittura da Jane Doe).
Nel secondo troncone rientrano i brani più cadenzati e forse più vicini alla strada che i Converge intendono intraprendere: parzialmente riuscito l’esperimento di “Aimless Arrow”, che unisce le ritmiche sbilenche di certo post-hardcore di fine anni ’90 (At The Drive-In) all’istrionico cantato noise rock di Bannon; spiazzante “Sadness Come Home” che, dopo l’intro blueseggiante, si trasforma più volte, andando a pescare tanto dall’heavy metal (a tratti sembra stata scritta dagli ultimi Mastodon) quanto dal thrash più martellante; deludente “Empty On The Inside”, noiosa nonostante la breve durata, con quella progressione che sembra preludere ad una repentina esplosione che però non ha mai luogo; “A Glacial Place” inizia con un riff quasi black metal e prosegue senza convincere troppo fino allo sfogo finale, in linea con certo post-black in voga negli ultimi tempi; intriga e seduce invece “Coral Blue”, costruita come un’oscura progressione verso la successiva “Shame In The Way”, marziale e cadenzata. Il resto dell’album si dipana tra episodi notevoli (la title-track, la noiseggiante “Veils And Veils”) ed altri brani meno riusciti, mantenendo comunque un livello qualitativo più che buono. Da segnalare l’apocalittica “Predatory Glow”, non a caso posta in chiusura in perfetta contrapposizione con “Aimless Arrow”: questi, piaccia o no, sono i Converge del 2012. E’ tutto racchiuso qui dentro.
All We Love We Leave Behind non è certo un disco esente da difetti: a tratti i quattro sembrano voler esagerare, andando ad impantanarsi in pezzi troppo poco diretti, spesso eccessivamente atmosferici; sono territori in cui obiettivamente i Converge faticano ad esprimersi al meglio, anche se qualche miglioramento rispetto ad Axe To Fall si inizia ad intravedere, sotto questo punto di vista. Ma dove le canzoni non sono qualitativamente all’altezza, non bisogna disperare: i Converge sono prima di tutto musicisti straordinari per tecnica e personalità, e riescono in ogni caso a salvare la situazione.
La strada che seguiranno in futuro sembra ormai tracciata: il mood plumbeo e angoscioso che pervade tutto l’album è una chiara dichiarazione d’intenti. I Converge hanno segnato un’epoca, diventando il gruppo simbolo di un’intera generazione di musicisti estremi: il fatto che dopo vent’anni di carriera abbiano ancora qualcosa da dire, ci sorprende fino a un certo punto. Aspettiamo il prossimo tassello, e speriamo di completare il puzzle il più tardi possibile.
7.5