(Ordo MCM, 2012)
1. The Stars Are Screaming
2. Broken Gates To Nowhere
3. Within The Circle Of Seraphs
4. The Obsolete Presence
5. Absent As In These Veins
Se c’è un trait d’union che lega tutte le manifestazioni del doom, dai primissimi vagiti degli anni ’70 al drone più moderno e sofisticato, questo è senz’altro la sua atavica tendenza all’improvvisazione, al free form senza compromessi, al progressivo abbandono della forma canzone. Caratteristica questa che è andata estremizzandosi nel corso degli anni, e che ben si sposa con l’essenza più profonda del genere, sviluppatosi sotto traccia e da sempre slegato da qualsiasi logica commerciale. Quella che i Monads propongono è una forma di doom particolarmente di nicchia: il cosiddetto funeral doom, che – manco a dirlo – prende spunto dalle intuizioni sabbathiane e le rallenta in maniera esasperata, creando flussi sonori stranianti e ripetitivi. Questo è quanto potrebbe risultare da un’analisi superficiale: prestando un minimo d’attenzione, però, ci si può rendere conto di come il loro sound sia in realtà molto più sfaccettato; anche perché altrimenti non si spiegherebbe lo status di album di culto di cui gode questo Intellectus Iudicat Veritatem all’interno della scena.
Le spiegazioni sono diverse e concatenate fra loro: innanzitutto, i Monads sono una specie di supergruppo; quasi tutti i membri hanno fatto parte di altri progetti, per la verità piuttosto oscuri e conosciuti soltanto da chi bazzica il black metal underground, come Trancelike Void e Omega Centauri. Inoltre, come accennato poc’anzi, il caleidoscopio sonoro di questo gruppo belga si estende ben oltre i confini classici del doom, andando ad incorporare influenze post-rock, death e black metal. Niente di particolarmente innovativo, anche se degno di nota almeno dal punto di vista compositivo: è palese, infatti, una certa tendenza al free-form, al flusso sonoro incontrollato, che rende i pezzi intriganti e ricchi di pathos. Ma la caratteristica che rende Intellectus Iudicat Veritatem un album completamente diverso dagli altri del genere è senz’altro il concept che lo ispira: i Monads, in maniera molto ambiziosa, hanno cercato di trasporre in musica la filosofia leibniziana; una scelta particolare, anche perché Leibniz, a conti fatti, non è certo il più “musicabile” dei filosofi.
Stabilire se ci siano riusciti o meno è un’operazione complessa; di sicuro Intellectus Iudicat Veritatem, almeno dal punto di vista musicale, è un disco interessante e ben suonato; nonostante la durata potenzialmente esasperante dei cinque brani (undici minuti di media), i Monads riescono in un’impresa tutt’altro che semplice, ovvero quella di non annoiare l’ascoltatore. Pur trovandoci di fronte a dei flussi di coscienza, più che a dei pezzi veri e propri, la vena mistica e la fitta alternanza tra riff stranianti e arpeggi melodici (a metà tra Isis e Katatonia) consentono di mantenere desta l’attenzione per tutta la durata del platter, che si rivela essere una delle migliori uscite doom degli ultimi anni. Si, perché in un genere così estremo è obiettivamente molto difficile introdurre novità rilevanti, e i Monads ci sono riusciti alla grande. Intellectus Iudicat Veritatem si colloca sulla scia di Evoken e Mournful Congregation, ma si dimostra comunque ragionato, personale e soprattutto molto maturo, cosa sorprendente se si pensa che i Monads sono alla prima fatica discografica. Nato come semplice demotape, Intellectus Iudicat Veritatem è già stato ristampato su pressante richiesta degli appassionati del genere, e in breve tempo si è conquistato lo status di album di culto: non fatichiamo a comprendere il perché. Da ascoltare, anche se non si è degli abituè del funeral doom.
7.0