Il mio nome è Gerda e non è con le chiacchiere che uscirai da questa merda. Così qualcuno diceva nell’ultimo film bello di Tarantino, e chissà quante volte questa frase se la sarà sentita ripetere da estimatori o detrattori vari la band marchigiana che questo nome ha scelto per far conoscere la propria musica. Eccheppalle, se ci pensate. Già, ma per fortuna non sono qui a disquisire di Pulp Fiction o delle ultime cacate hollywoodiane sfornate dal nostro semi-conterraneo, sono qui a parlare di merda vera, nera e soprattutto dura. Niente chiacchiere in queste quattro righe, ma alle volte da una semplice rima scaturiscono trip che manco v’immaginate.
I Gerda per me sono la risposta a molte cose. Al fatto che pochi oggi sappiano veramente darmi una definizione univoca di ‘hardcore’, ad esempio, perché non credo che ne esista una – ammesso che esista l’hardcore come genere e anche come concetto, visto che di ‘attitudine’ ultimamente se ne vede proprio poca – e se allora devo farmi una ragione di tante quisquiglie o cazzate di tendenza per mascherare un insidioso vuoto di fondo, io potrei rispondere lapidario: ascoltatevi gente come i Gerda. Eccovene qua una su un piatto d’argento. Un’altra è che il quartetto di Jesi suona una musica estrema, ma ad un livello concettuale ed emozionale, più che di forma, e ciò nonostante non si inscrive nella lista di band che fanno a gara a chi mena più duro o veste meglio. Mi piace pensare che ai Gerda di queste fregnacce non freghi un cazzo. Questo mi dà da credere che ci sia ancora gente in giro che suona (o forse è meglio dire ‘si esprime’) principalmente per un bisogno personale, e solo in un secondo momento per gli altri. Musica estrema, dunque. Estrema come la materia che rima con Gerda. Nessuno la tocca, nessuno la guarda, puzza e se per caso la si pesta mentre si va al lavoro si stacca un’abbondante caterva di bestemmie. Eppure è onnipresente nelle nostre vite, è parte di noi, materia di cui ci disfacciamo in senso stretto o metaforico. Molti modi esistono per liberarsene. C’è chi lo fa in un campo o sul cesso, ma anche chi preferisce sbarazzarsene buttandocela addosso attraverso i coni di un amplificatore o attraverso le membrane di un microfono. E in questo i Gerda son dei gran campioni.
Ormai l’avrete capito: anche questa volta, come del resto nel corso degli ultimi dieci anni, c’è di nuovo bisogno di un ombrello. E che sia grosso e robusto, perché questo nuovo Your Sister (un nome che è, più che un programma, una dichiarazione di intenti ‘all’italiana’) è un diluvio di sterco che s’abbatte sulle nostre orecchie. Il disco si presenta come una tela bianca sulla quale la band schizza a piacimento abbozzi di canzoni con sferzate grumose (il materiale lo scegliete voi, stavolta) e sui quali una voce che è ‘più di là che di qua’ rumina e sputa deliri. Si inizia con “Potshots”, cavalcata da mal di mare che sfocia nei rimbalzi impazziti di “Inimicizia”, un pezzo che intorno alla metà si trasforma in un turbinio pari solo a quello di un frullatore. Segue poi la marcia cupa di “Reich Reich” (ben dieci minuti di alti e bassi emozionali-esistenziali), un po’ Santo Niente presi malissimo, un po’ Bachi Da Pietra nel suo incedere iniziale caracollante e fumoso, totalmente Gerda nella parte finale. “Abbiamo un segreto, nasce dalla differenza, da arroganza e incoscienza, nella vostra illusione di essere speciali” gorgoglia la voce roca di Alessandro, e questo vi fa capire il mood. Arrivare alla fine è un’impresa che prostra – un calvario – ma che regala anche un vago senso liberatorio, quello di una purga, o di un benefico fango Guam, colato bollente sulla pelle nuda, ed è solo il terzo pezzo. “Fucked Up Voice” a confronto sembra un brano pop, dove la chitarra imbastisce arpeggia su un giro di basso rotondo per poi esplodere sul finale e sciogliersi in una mini-coda dal sapore melodico. È punk invece il piglio di “Night And Fog In Vallesina”, con quel che di With Love che traspare anche in altri pezzi, mentre “Tua Sorella” (eh sì, proprio lei) riprende il discorso di disagio e smarrimento aperto con “Reich Reich”. Il brano è una ballata decadente e post-industriale che poggia su un tappeto ossessivo-percussivo sul quale la chitarra deposita detriti contorti, un’esperienza che ti mette alla prova. Si chiude con “Iridio”, trip incalzante che fa calare il sipario con uno stop brusco al termine di altri sei minuti difficilmente descrivibili a parole.
Protagonisti e vincitori a pari merito del disco sono nuovamente gli strumenti in toto: la sezione ritmica, compatta e allo stesso tempo elastica, muove trame oblique sulle quali la chitarra e la voce sferzano scudisciate che fanno male. La chitarra, poi, ha spazio di movimento assoluto: le dissonanze sono all’ordine del giorno ma non stufano mai, e anche la pasta della distorsione appesantisce senza snervare i pezzi. I suoni sono selvaggi e naturali, e non potevano essere migliori per rendere il senso di crudezza di cotanto marasma. Forse c’è meno violenza allo stato brado e più rabbia calcolata rispetto al passato, ma il risultato è sempre (psicologicamente) devastante, perché anche se i Gerda sostanzialmente si ripetono sanno comunque apportare micro-cambiamenti al proprio sound tali da autorigenerarlo in un bagno di sangue. Due le cose che mi colpiscono: l’impurità del tutto, la sporcizia di un suono che nella sua imperfezione e slabbratura dona vigore ad un lavoro che respira e suda come una bestia, e la disarticolazione delle parti che pure restituisce, in una forma e una direzione ben precise, quel senso di spasticità che caratterizza molti degli eventi delle nostre vite, e che i Gerda hanno nuovamente saputo sintetizzare in sette sole tracce. Siamo appena più distanti da perle come “Carne Del Mondo” del loro primo e omonimo disco – sarà forse il fascino/sorpresa della prima volta che me lo fa ricordare così bene? – ma si sa, gli anni pesano sul groppone tanto quanto la saggezza e la coscienza di sé.
Bentornati, Gerda, per una volta ancora siamo felicissimi di evitare le chiacchiere e goderci la vostra merda.
(Wallace, Sonatine, Fallo Dischi, La Fine, Shove Records, 2014)
01. Potshots
02. Inimicizia
03. Reich Reich
04. Fucked Up Voice
05. Night And Fog In Vallesina
06. Tua Sorella
07. Iridio