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I Veil Of Maya erano una band deathcore divenuta popolare per i loro riff ritmicamente malati, dissonanti ed intricati. Questo album era atteso già dal 2013, ma qualcosa è andato storto: infatti, nella seconda parte di quell’anno la band di Chicago scomparve inspiegabilmente dopo l’uscita del bellissimo singolo “Subject Zero”, nonostante avessero anche annunciato l’uscita del nuovo lavoro in inverno. Già si temeva il peggio, e infatti a fine 2014 il cantante Brandon Butler lasciò la band per divergenze artistiche. A questo punto era lecito aspettarsi un cambiamento dello stile: puntualmente, è successo ciò. Il grosso cambiamento è dato dalle clean vocals della new entry Lukas Magyar, cantante sicuramente più tecnico e dinamico del suo monocorde predecessore, anche se a volte lasciano perplessi i suoi tentativi di emulare Spencer Sotelo dei Periphery. Alla fine dei conti il rischio ha pagato, ma a livello musicale il dubbio resta: riusciranno i Nostri a confermarsi ad alti livelli dopo due ottimi album come [id] ed Eclipse?
Il sound attuale dei Veil of Maya è ben diverso dalle precedenti opere: l’elemento deathcore è stato ammorbidito a favore di sonorità molto più metalcore / djent arricchite da progressioni melodiche, un’autentica rivoluzione per la band dell’Illinois. Matriarch inizia con “NYU”, breve canzone caratterizzata da riff sincopati carichi di groove, nella quale spiccano gli scream di Magyar, taglienti e poderosi. È però con la terza traccia “Ellie” che diventa palese il cambiamento: si tratta di un brano molto radio-friendly, tanto bello quanto troppo debitore dei Periphery, soprattutto negli intermezzi strumentali. Il resto della tracklist risulta ben bilanciata, tra pezzi più o meno pesanti. I breakdown, presenti in grandi quantità come sempre, per quanto molto dinamici hanno evidentemente perso la componente schizofrenica del passato, portando ad una notevole standardizzazione della formula. “Mikasa” e “Teleute” sono tracce esplosive, capaci di unire le vecchie abitudini del complesso con le nuove influenze. In questi due episodi le voci pulite risultano azzeccate e affatto stucchevoli, cosa che invece accade in altri momenti meno fortunati della tracklist. La vecchia anima della band torna nel brano più caratteristico del lotto, “Phoenix”, una composizione che potrebbe benissimo far parte di un disco precedente.
Matriarch è una sorpresa sotto tutti i punti di vista: è ben suonato e porta nel sound dei Veil of Maya idee nuove, cristallizzate in brani corti che riescono a non annoiare. Ha solo un grosso difetto: suona più o meno come un qualsiasi altro album che potreste trovare nel catalogo della Sumerian Records.
6.5
(Sumerian Records, 2015)1. NYU
2. Leeloo
3. Ellie
4. Lucy
5. Mikasa
6. Aeris
7. Three-Fifty
8. Phoenix
9. Matriarch
10. Teleute
11. Daenerys
12. Lisbeth