(Autoproduzione, 2015)
1. Jellyfish
2. Breakdown
3. Pyre
4. Funfair
5. Bed of Stones
6. No Need
7. Vuoto
8. Dream of Black Dust
9. Funny Games
10. Black Dust
Gli ORk sono una sorta di supergruppo formato da Lorenzo Esposito Fornasari (voce, archi ed elettroniche; già conosciuto per diversi progetti tra cui Obake e Berserk!), Carmelo Pipitone (chitarra acustica ed elettrica; chitarrista dei Marta sui Tubi), Colin Edwin (basso; membro dei Porcupine Tree) e Pat Mastelotto (percussioni e batteria; attualmente nei King Crimson). Un quartetto che non può non destare una certa curiosità.
Scelta la via della totale autoproduzione, i quattro si presentano a febbraio diffondendo sui social network e su YouTube “Jellyfish”, un pezzo viscerale e muscolare, che ricorda vagamente i Tool del periodo Lateralus e che desta immediato stupore ed interesse nei fan dei musicisti sopraelencati e delle loro band di provenienza, per ovvie ragioni i primi ad avere avuto l’opportunità di ascoltarlo. A colpire sono la personalità della proposta, l’amalgama tra i quattro e la stupefacente qualità della produzione. Passa circa un mese e i nostri presentano “Pyre”, pezzo accompagnato da uno splendido video animato curato dalla Oktopus Production. È un’altra bomba, una ballad oscura e profonda con un finale di un’intensità pazzesca. Non ci sono più dubbi sul fatto che ci troviamo di fronte ad una formazione di altissimo livello e soprattutto molto, molto ispirata. Finalmente, a metà maggio, iniziano ad uscire fuori le prime copie del disco riservate a webzine e fortunati singoli.
Inflamed Rides, prodotto e mixato da LEF e masterizzato da Michael Fossenkemper degli studi Turtleton di New York è un’opera monumentale, viscerale e potente, ma anche raffinata e di classe. I testi rimandano a demoni interiori, separazioni, abbandoni, rappresentazioni di stati d’animo, ma anche ad un immaginario fatto di luna park con giostre infuocate, piogge di sangue e inquietanti pagliacci sorridenti. Inquadrare questo lavoro in un genere definito è impossibile. Le tessere che si vanno ad accostare a “Jellyfish” e “Pyre” sono tutte diverse tra loro. Si va dai territori simil-prog di “Breakdown” all’elettronica di “Bed of Stones”, con sonorità che nella prima parte ricordano i Tortoise. “Funfair” è uno dei pezzi più divertenti e tirati, con un Edwin sugli scudi (da brividi il suo ricamo di basso al minuto 3:12), così come molto tirato è “No Need”, un pezzo che nella parte centrale e finale richiama vagamente Rob Zombie nei suoi momenti più ispirati. C’è spazio anche per un claustrofobico ed opprimente pezzo in italiano (“Vuoto”) e momenti più atmosferici nei pezzi conclusivi del disco, nei quali fa capolino anche la tromba di Paolo Raineri.
La prestazione dei quattro è assolutamente di primo livello. Le qualità di LEF si conoscevano e forse questo è l’album in cui riesce ad esprimere tutte le straordinarie potenzialità della sua ugola, Edwin e Mastelotto non hanno bisogno di presentazioni e nel disco regalano perle su perle che vengono fuori ad ogni ascolto e non smettono mai di sorprendere, mentre è Pipitone ad essere forse la vera sorpresa, dimostrando di cavarsela egregiamente non solo con la chitarra acustica, ma anche con chitarre (parecchio) distorte. Nell’attesa di vederli dal vivo supportate gli ORk e spargete la voce, se lo meritano anche per la coraggiosa scelta di curare tutto il processo produttivo (dalla registrazione alla distribuzione) in maniera autonoma ed indipendente.
8.5