Dopo tredici anni di onorata carriera gli australiani Parkway Drive giungono al traguardo del quinto album, intitolato Ire, che esce a tre anni di distanza dall’ultimo Atlas. I Nostri sono ormai un nome di punta del panorama metalcore internazionale e riescono a muovere sempre tantissima gente (persino nel nostro Bel Paese). La miscela però è un po’ cambiata rispetto al passato: sempre di metalcore si tratta, ma molto più melodico rispetto al passato. Qualcuno, storcendo il naso, direbbe annacquato.
Sfortunatamente questo Ire è un bel passo falso per la band australiana. Non sembra nemmeno suonato da loro in alcuni frangenti. Alcuni riff suonano palesemente heavy metal, ma hanno la pretesa di suonare metalcore. I breakdown sono molto pochi e poco coinvolgenti. Il disco se paragonato a Horizons, Killing With A Smile o Deep Blue sprofonda, non può esistere nemmeno un vero e proprio paragone. La opening è “Destroyer”: dalle prime note sembra promettere bene, ma poi cala inesorabilmente di intensità. Un altro brano modesto è “Writings On The Wall”, caratterizzato da un intro di batteria a là Queen di “We Will Rock You” che evidenzia la pretesa di essere un hit; purtroppo, caro Winston, il “put your hands up” che canti più che altro fa venire voglia di premere “skip”. Stendiamo un velo pietoso sugli archi che dovrebbero arricchire questo brano. Con la doppietta “Bottom Feeder” e “The Sound Of Violence” si ritorna invece su dei lidi più congeniali alla band, in stile Atlas. Concludendo questo percorso tortuoso e doloroso arriviamo alle ultime due tracce “Dedicated” e “A Deathless Song”: la prima è dura come una roccia, la seconda parte con una chitarra acustica (una scelta fuori dai loro schemi finalmente azzeccata!). Il brano conclusivo non è violento, ma non eccelle né demoralizza troppo l’amante dei Parkway Drive.
È inevitabile affermare che questo Ire sia una delusione: ha dei buoi momenti, per carità, soffocati però dalla mediocrità generale in cui sono immersi. Comprendiamo la voglia di sperimentare, ma c’è modo e modo di ampliare i propri orizzonti. Speriamo si rifacciano in futuro, perché una band con tale storia e importanza all’interno del movimento merita di spaccare come si deve.
5.0
(Epitaph Records, 2015)
01. Destroyer
02. Dying To Believe
03. Vice Grip
04. Crushed
05. Fractures
06. Writings On The Wall
07. Bottom Feeder
08. The Sound Of Violence
09. Vicious
10. Dedicated
11. A Deathless Song