Amalie Brunn è una musicista danese già negli Ex Cops, gruppo pop che ha come base New York. Per noi però è conosciuta principalmente come la one-woman black metal project (così cita il suo bandcamp) Myrkur. Ultimamente questo progetto è sulla bocca di tutti, o quasi, a causa di questo primo disco che ha fatto parlare di sé, tra molte lodi e altrettante critiche. Il fatto che una cantante pop si sia messa a comporre e registrare black metal ha fatto storcere il naso a tanti e incuriosito molti ascoltatori più open-minded.
L’artista si trova nel roster della Relapse Record fin dagli esordi ed anche quest’ultimo lavoro esce per la label americana. Le produzioni invece sono affidate a Kristoffer Rygg degli Ulver, il quale ha fatto un ottimo lavoro dando al suono un’impronta molto old school, un lontano ricordo dei primi lavori degli Ulver, inserendo anche chitarre piene d’effetti in puro stile shoegaze. Qui però iniziano ad esserci dei dubbi: sì, la produzione è molto vecchia scuola, ma anche il contenuto del disco è così? La risposta giusta è “nì”. M principalmente non si presenta come un album black metal, ma sembra virare piuttosto verso un post-rock/shoegaze con alcuni elementi ambient e con un po’ di metal. Se non fosse per tre canzoni in particolare (“Hævnen”, “Mordet” e “Skaði”), difficilmente si potrebbe inserire la parola black in questa recensione. Togliendo le tracce che fanno da intermezzo (le quali ricordano Kveldssanger dei già citati Ulver), la composizione si trova in una zona grigia a metà tra i My Bloody Valentine, gli Ulver (ancora) e qualche riff alla Venom. Il problema principale dell’album però sta qui: le due cose non si incontrano. Il suono non è quello a cui ci hanno abituato artisti come Amesouers, Shyy, Dopamine o Lantlôs, bensì due rette parallele.
Tra le tracce degne di nota c’è “Onde Børn”, un ottimo brano shoegaze, nonché la miglior traccia del disco. La chitarra, il basso e la batteria rendono benissimo, trasportandoci dall’inizio alla fine della canzone accompagnati da una voce sognante e riff anni ’90. “Mordet” invece parte subito con un giro che ricorda molto da vicino i Venom di Black Metal, per poi continuare con dei riff taglienti ed una voce straziante. A metà il brano rallenta, lasciando spazio ad una chitarra quasi doom (la parte meno riuscita del pezzo) per poi re-iniziare con sfuriate strumentali e scream. “Dybt I Skoven” fa capire che la parte shoegaze dell’album è quella più riuscita. La canzone fila liscia come l’olio: effetti di chitarra ottimi, basso ben inserito, batteria semplice ma d’effetto uniti alle doti canore di Myrkur creano un gran pezzo. L’ultimo traccia che andremo a trattare è “Skaði”, la migliore per quanto riguarda la parte metal del disco. Batteria martellante, chitarra distorta e scream con molto riverbero accompagnano la prima parte della canzone. Circa ad un terzo della canzone inizia una parte più lenta e ritmata la quale ricorda molto i gruppi della scena cascadian americani, ed infine torna ad avere il doppio pedale e la velocità iniziale, per finire tra le urla e i cori di Myrkur.
Se l’album fosse stato un EP senza intermezzi, che talvolta sembrano inseriti per allungare il brodo, il risultato sarebbe stato probabilmente migliore: la lunghezza ridotta avrebbe aiutato l’intero disco. C’è da dire però che Myrkur è alle prime armi e questo ci fa ben sperare in una sua crescita musicale. L’album si fa ascoltare, soprattutto se lo si approccia con la consapevolezza di esser di fronte ad un album che con il black metal c’entra veramente poco. Se l’intero album avesse seguito la linea delle ottime “Onde Børn” e “Dybt I Skoven” sarebbe stato promosso a mani basse e con un ottimo voto. Purtroppo però il resto del disco lascia lacune ed incertezze, che speriamo vengano colmate con le successive uscite.
(Relapse Records, 2015)
1. Skøgen skulle dø
2. Hævnen
3. Onde børn
4. Vølvens spådom
5. Jeg er guden, i er tjenerne
6. Nordlys
7. Mordet
8. Byssan lull
9. Dybt i skoven
10. Skaði
11. Norn
5.5