(Southern Lord Records, 2015)
1. Pleasure, Pain, Disease
2. Slaves Beyond Death
3. Reaping Flesh
4. Seed Of Cain
5. Arc Of Violence
6. A Place Of Insane Cruelty
7. Burning Hate
8. Chains Of The Afterlife
Il nuovo disco dei Black Breath potrebbe essere il miglior disco death metal dell’anno. Cominciamo con questa provocazione, per mettere in chiaro fin da subito che con Slaves Beyond Death la band americana si è scrollata di dosso molte delle etichette che si portava dietro fin dagli esordi e ha confezionato un disco che farà prima di tutto la gioia degli amanti dello swedish death anni Novanta.
Nonostante l’ignoranza di cui sono stati sempre bonariamente accusati, bisogna riconoscere ai Black Breath di non aver mai composto un disco uguale a quello precedente. A seguito del folgorante esordio, contenente dosi quasi eguali di hardcore, crust e death’n’roll, era arrivato Sentenced To Life, che con grande capacità di sintesi offriva una serie di pezzi veloci e ancor più death oriented, ma pur sempre filtrati da un gusto –core. Con Slaves Beyond Death la mutazione è però (finalmente?) compiuta: il cambiamento si nota subito dalla voce di Neil McAdams, che se in passato risultava essere la portatrice del maggior numero di reminescenze hardcore, oggi è davvero accostabile a quella dei migliori cantanti death.
Sono però soprattutto i pezzi a gridare “old school death” in ogni momento: sembra che stavolta i Black Breath abbiano riposto Wolverine Blues nel cassetto per tirar fuori tutti gli altri dischi di death anni Novanta presenti nella loro collezione. Gli omaggi a Entombed, Dismember e compagnia sono evidenti più che mai, ma il sound di quei tempi tanto fecondi in questa occasione viene rielaborato con grande sagacia dalla band americana. Il risultato sono otto brani, dalla durata media di sei minuti, freschi e genuini ma soprattutto divertenti: la titletrack e “Reaping Flesh”, per esempio, sono due pezzi incredibili, che se fossero stati composti vent’anni fa sarebbero probabilmente dei classici.
Non c’è un solo episodio debole in Slaves Beyond Death, ogni brano contiene riff memorabili e il disco, nonostante sia il più strutturato e meno immediato mai composto dalla band, risulta essere decisamente molto fruibile. Negli ultimi anni in molti hanno provato a rendere nuovamente attuale il death metal degli anni Novanta; i Black Breath più della concorrenza hanno un gusto compositivo invidiabile, che gli permette di far suonare fresche sonorità vecchie di venti e più anni. Questi ragazzi, insomma, hanno studiato, tanto e bene: i risultati sono evidenti, i nostalgici ne godranno assai.
8.0