Thall. Basterebbe questa parola per descrivere il gruppo che vi proponiamo oggi. Forse alcuni di voi sanno già di cosa stiamo parlando. Per chi non lo sapesse, invece, il termine viene ultimamente utilizzato per identificare alcune band che suonano un mix tra djent, deathcore dissonante e ambient. Il gruppo più famoso sono senz’altro i Vildhjarta (inventori di tale parola insieme agli Uneven Structure). Da una loro costola si sono creati questi Humanity’s Last Breath. La mente di questo progetto di Helsingborg, che di fatto è una one man band, è Buster Odeholm, autore nel 2013 di quello che era probabilmente l’album più pesante dell’anno, con il quale si era fatto conoscere e apprezzare dall’audience mondiale.
Questa nuova fatica propone cinque brani di pachidermica pesantezza e malvagità. Nel download digitale in realtà troverete in tutto dieci canzoni, ma le altre cinque sono niente più che delle versioni strumentali delle stesse: ottime per una karaoke party! Ad ogni modo, il benvenuto spetta alla spettrale “Ocean Drinker”. I growl inumani sono sempre spaventosi come lo erano in passato; inalterate rimangono le atmosfere, sinistre e spettrali come se ci trovassimo in una bolgia infernale, per non parlare poi dei possenti breakdown spezza collo. Il songwriting è di alto livello e le canzoni di questo piccolo disco sono la giusta evoluzione del precedente disco omonimo. “Harm” presenta un midtempo costante che penetra nella materia grigia anche grazie ai bicordi ultra dissonanti tipici del gruppo. Le chitarrone a sei corde in particolare sono esaltate da una produzione eccelsa e cristallina. In certi momenti è possibile ascoltare pure qualche secondo di effetti industrial ed elettronici, che arricchiscono l’EP tra un riff groove sincopato e l’ambient maligno. Particolarmente muscoloso risulta il brano finale “Detestor”, impreziosito dal featuring con Jessica Currys: la sua voce melodiosa si trova a suo agio nelle sfuriate presenti sul pezzo.
Peccato che questo lavoro finisca davvero troppo in fretta e quasi sul più bello. È comunque tangibile un ulteriore passo avanti rispetto al passato: nel loro primo lavoro gli Humanity’s Last Breath erano una band deathcore qualunque, mentre adesso possiedono un sound personale e ben distinguibile, per il quale è consigliato l’ascolto a tutti gli amanti delle atmosfere ultra violente e possenti. Ne vorrete sempre di più.
(Autoproduzione, 2016)
01. Ocean Drinker
02. Furvus
03. Harm
04. Beware
05. Detestor (feat. Jessica Currys)