Quando, nell’ormai lontano 2009, i Tombs diedero alle stampe il primo full-length Winter Hours, parve a molti di assistere alla nascita di una nuova stella nel firmamento della musica estrema: quel primo album condensava nella giusta misura rabbia, brutalità e malinconia e, sebbene la formula black/post metal dei newyorchesi non fosse rivoluzionaria, pure rivelava una personalità musicale indiscussa. Altri due dischi – intervallati da uscite minori – hanno seguito quel fortunato esordio, deludendo purtroppo le attese: né Path of Totality (2011) né Savage Gold (2014) sono riusciti ad eguagliare l’opera prima, rivelando altresì alcuni limiti sia sul piano della scrittura dei pezzi – spesso ingiustificatamente lunghi e scarsamente dinamici – che su quello tecnico, e ci riferiamo nello specifico alle vocals di Mike Hill, poco incisivo sia nelle parti più brutali che nei (fortunatamente sporadici) cantati puliti.
Negli ultimi due anni si sono verificati però radicali cambi di formazione: ad oggi, della band che ha registrato l’ultimo disco sono rimasti solo Hill ed il bassista Ben Brand. La seconda chitarra, la batteria e il synth sono affidati a nuovi elementi, ed è evidente come questa rivoluzione interna abbia influenzato, in modo decisamente positivo, il risultato di All Empires Fall, EP che ha il compito di presentare al mondo i nuovi Tombs. E sono nuovi davvero, perché se sul piano stilistico i Nostri sono rimasti ancorati al post-black che da sempre li contraddistingue, su quello esecutivo e dei suoni la storia è tutta diversa ed assai migliore. Questa release ci presenta i Tombs più pesanti di sempre, finalmente scrollatisi di dosso le titubanze del passato per puntare dritti al volto dell’ascoltatore, martellandolo senza pietà. Lo scream di Hill è più greve che mai, aiutato da profonde distorsioni; il basso pulsa in modo abrasivo e non è più finalmente solo un elemento di fondo, ma parte integrante di un suono mai così aggressivo. La batteria di Charlie Schmid (dietro le pelli anche degli ottimi Vaura) bada al sodo e fornisce alla band linee secche ed essenziali, senza mai eccedere in virtuosismi, una delle pecche del suo predecessore Andrew Hernandez. Assai positivo anche il ruolo del synth, che contribuisce a creare il sound apocalittico che la band ha sempre cercato.
L’EP si apre con la non imprescindibile intro strumentale “The World Is Made of Fire”, cui segue la travolgente “Obsidian”, che ci ha ricordato i compianti Nachtmystium di Silencing Machine: Hill, come detto, parte subito all’assalto con uno scream ferale, mentre le chitarre non lasciano tregua grazie ad un riffing finalmente degno di nota; il basso di Brand, infine, graffia i timpani in maniera implacabile. Dopo la pausa riflessiva di “Last Days of Sunlight”, ecco l’ottima “Deceiver”, mid-tempo che riesce comunque a risultare il brano più dinamico del lotto. Chiude l’EP “V”, che riporta la mente ai fasti di Winter Hours, sia per la struttura del brano, sia per il senso di alienazione che suscita. Eccellente il giudizio finale: pur trattandosi di un EP di nemmeno ventiquattro minuti di durata, All Empires Fall ci presenta una band che sembra aver finalmente fatto l’agognato salto di qualità. Sta ora a Mike Hill e soci confermare, ed anzi migliorare, quanto di buono sentito qui nel prossimo album, per il quale a questo punto ci auguriamo di non dover attendere troppo.
(Relapse Records, 2016)
1. The World Is Made of Fire
2. Obsidian
3. Last Days of Sunlight
4. Deceiver
5. V7.5