Negli ultimi tempi vi abbiamo parlato diverse volte di Argonauta Records: tanti sono stati infatti gli album meritevoli d’attenzione fatti uscire dall’etichetta nostrana. È dunque giunto il momento di scambiare due chiacchiere con il fondatore Gero…
Quando è nata Argonauta Records e cosa vuol dire essere un’etichetta underground italiana al giorno d’oggi?
Argonauta Records nasce a settembre del 2012, quasi per scherzo, quando doveva essere cioè uno strumento tramite il quale promuovere e diffondere le uscite della mia band (Varego): si pensava di fare edizioni limitate home-made e cose del genere. Nel giro di pochissimi mesi tutto cambiò per una serie di fattori ed oggi eccoci qui. Oggi essere un’etichetta italiana underground vuol dire sgomitare tutto il giorno per far sentire la tua voce il più lontano possibile e a più persone possibili, in Italia e all’estero.
Chi fa parte della Argonauta Records oltre a te, fondatore e portabandiera?
Assieme a me ci sono una manciata di stretti collaboratori esterni che mi aiutano a livello logistico a gestire alcuni aspetti. Ti cito ad esempio Gabriele, cantante degli Infection Code, mio braccio destro per l’Argonauta Fest e per parte dell’A&R italiano, e Barbara di NeeCee Agency, che gestisce l’ufficio stampa e gli aspetti promozionali. Poi sono sempre attento e disponibile a collaborare a vario titolo con altre persone, ecco infatti che può succedere che ci siano partnership temporanee magari per un singolo titolo o per un limitato periodo di tempo.
Immagino che tu sia sommerso di materiale da esaminare. Quali sono le fasi di questo processo che parte dalla ricezione del materiale fino alla eventuale firma della band?
Qui si ascolta tutto, ma proprio tutto quello che si riceve. Certo è che poi si possono avere delle difficoltà nel far avere una risposta a tutte le band per una serie di fattori, ma se una cosa mi piace è mia premura mettermi in contatto subito per avviare la collaborazione. Da un punto di vista pratico è tutto molto semplice, dal primo impatto generalmente riesco già a capire se una band può fare al caso mio. Il fatto di avere un po’ di esperienza alle spalle almeno mi è d’aiuto a gestire una prima scrematura degli invii. Da lì il passo è breve, se ci piacciamo entrambi, dopo magari quattro chiacchiere al telefono o un incontro di persona, si parte.
Abbiamo visto che, tendenzialmente, l’etichetta è dedita a produrre dischi di band doom, stoner, prog, psych, noise, post metal e tutto ciò che si correla a questi generi. Le porte di Argonauta Records sono aperte a tutti i generi?
La risposta secca è NO, nel senso che con Argonauta mi interessa solo lavorare con i generi musicali con cui sono cresciuto e che mi hanno formato musicalmente. E, già così, spesso mi dicono di gestire la label in modo molto eclettico pur rimanendo nel campo dei generi che hai citato. Sostanzialmente potrei dirti che non faccio tanto un discorso di genere, ma di attitudine, spesso la distanza tra una band heavy psych settantina e una proposta post sludge è davvero minima sotto molto punti di vista.
Dopo band notevoli come Suma, Nibiru, Varego, Throes Of Dawn, Sepvlcrum, Wows, Infection Code e gli ultimi arrivati Otus e Nudist che cosa ci proporrete in futuro? Che progetti ci sono in cantiere?
In cantiere c’è davvero tantissimo. Oltre alle ottime band che menzioni (tra l’altro quasi tutte italiane), avremo un’ondata micidiale di band statunitensi. Fra tutti cito gli Electric Age dalla Lousiana e stretti compari di Crowbar e Corrosion of Conformity (nel senso che proprio vengono dalla stessa scena); i Forming The Void, grandissimi autori di un doom dai riflessi grunge, con rimandi ad Alice in Chains; i Season of Arrows, heavy doom da Nashville, una versione spettrale dei Jefferson Airplane che incontrano i Black Sabbath. E ultimi in ordine cronologico, il recentissimo ingresso Green Meteor, sludge tra Acid King e Bongzilla, da Philadelphia.
Argonauta, oltre ad essere un’etichetta, è anche un mini festival, giunto oramai alla seconda edizione. Che obbiettivi hai con questa strada musicale in sede live?
A maggio faremo la terza edizione, sono molto contento, è un buon segno per tante ragioni. Già riuscire a garantire un evento periodico vuol dire che si è generata un’ottima correlazione tra label e pubblico. E poi ad oggi ci sono anche vari eventi satellite durante l’anno, una specie di percorso “warm-up” per il fest. Ovviamente si rimane con i piedi ben piantati a terra. Gli obiettivi non sono di conquista e dominio del mondo, ma quello di mettere su una giornata in cui bands e pubblico partecipante siano una cosa sola. E di migliorarsi di anno in anno affinché questa festa sia sempre più riuscita.
In questi ultimi due anni in particolare (2015/2016) avete partorito una serie di band e album di elevatissimo spessore musicale, che hanno ottenuto un notevole riscontro da parte degli ascoltatori più attenti. Citiamo i Nibiru (presenti anche nell’edizione 2016 del Roadburn),con il capolavoro Padmalotus e l’ottimo Teloch, i Varego, con il fantastico Epoch, e gli svedesi Suma, con lo stordente The Order Of Thing. Quali sono le maggiori soddisfazioni che ti sta dando questa etichetta?
Intanto ti ringrazio, fa piacere sapere come band, spesso non proprio facilissime all’ascolto, vengano così apprezzate. Sono stati due anni intensissimi sia dal punto di vista lavorativo sia per i risultati ottenuti. La soddisfazione principale è che in condizioni economiche non semplici (la crisi, eccetera) oggi Argonauta è una label con una sua struttura, un suo programma e una sua indipendenza da tutto e da tutti. Poi tutte le soddisfazioni arrivano quotidianamente lavorando assieme a tutte le ottime band del roster. Non è una “sviolinata”, visto che se oggi siamo qui vuol dire che tutti assieme abbiamo fatto e stiamo facendo un bel lavoro. E sono proprio le band e poi il riscontro del pubblico il motore principale dell’etichetta, interfacciarmi con loro giorno per giorno è per me uno stimolo di gran valore che mi dà una grande energia.
Come vedi la scena musicale attuale, sia italiana che estera?
La vedo in ottima salute, ci sono davvero tantissime band valide sia in Italia che all’estero e per me è una cosa positiva. Vedi, sono quel tipo di persona che più proposta c’è più è contenta. Sono alla costante ricerca della continua rinascita dei suoni di cui sono fan. Certo, in giro ci sono davvero tante uscite, ma l’importante è preservare la qualità e la voglia di fare bene.
Altro discorso poi è il pubblico, che soprattutto in Italia è troppo limitato agli “addetti ai lavori”. Locali e realtà simili fanno molta fatica e le vendite stesse degli album purtroppo in Italia è sempre molto bassa. Al tempo stesso qui da noi c’è molto movimento a livello anche di ottime webzine, etichette, eccetera, che tengono vivo l’interesse. Come dico spesso l’Italia è un vero e proprio paradosso.
Secondo te come è cambiato il panorama musicale, band comprese, dai tempi degli anni 90 (tape, vinili, cd) ad oggi? Pensi che il “freddo” web abbia allargato le strade a riguardo e fatto bene alla musica? Si potrebbero rimpiangere le “calde” emozioni di uno scambio di vecchi vinili e tape fuori dai negozi di musica? Oppure leggere le recensioni cartacee e andare a comprare il disco subito a scatola chiusa?
Non sono un nostalgico, ci tengo a puntualizzare. A guardarsi indietro si muore, io la penso così. Certo è che tutto è cambiato, un tempo quelli come noi (intendo anche come te, Paolo, ahah) avevano la sensazione di far parte di un’elite, entrare in negozi sconosciuti, fare scambi anche via posta dall’altra parte del mondo con buste ricoperte di francobolli. È chiaro che erano davvero bei tempi. Oggi è tutto più a portata di mano ma non mi rammarico, anzi molte barriere non ci sono più, se pensi che ho avuto la possibilità di lavorare con Jack Endino, con Jarboe e con Billy Anderson (per citarne alcuni), non potrai mai sentirmi dire che oggi le cose vadano male. Certo bisogna stare attenti a districarsi in un mercato molto particolare e soggetto a cambiamenti repentini. E poi, riguardo all’ultima parte della tua domanda, io compro ancora dischi a scatola chiusa, ahah.
Negli anni Novanta ricordo che tutti volevano cercare di suonare come i Kyuss oppure i Pantera. Rapportando questo ad oggi che tendenze hai notato in tutto il materiale che ti passa tra le mani? Qual è stata la cosa più “strana”, musicalmente parlando, che ti è stata recapitata?
Ad essere sincero non è che le cose siano poi cambiate molto, certo ci sono tantissime contaminazioni nelle proposte che ricevo, però il genere trainante (nella mia fetta di mercato) fa sempre capo a questi due nomi. Non mancano ovviamente le derive post metal in stile Neurosis o prog/alternative tipo i Tool. Così come un forte ritorno delle sonorità settantine. Di cose davvero strane non ne ricordo, però ti posso citare il demo di una band russa di cui poi si sono perse le tracce, molto particolare e curioso, in cui univano canti tradizionali a intricatissime partiture post metal. Molto bizzarri ma a conti fatti una proposta a cui avrebbero dovuto dedicarsi più nel profondo per valorizzarla e dare un senso logico alla loro particolarissima attitudine.
Saluta come meglio credi i lettori di Grind On The Road. Grazie del tuo tempo.
Intanto grazie per la pazienza di essere arrivati a leggere fino a qui. Se siete qui su Grind On the Road vuol dire che avete una passione che vi arde dentro, fate in modo che non si spenga mai, dedicandovi alle cose che vi fanno stare bene. Un super grazie poi a te Paolo e a tutto lo staff per questa intervista e per il lavoro che portate avanti.