Sei anni dopo Di Nuovo Lontano ecco tornare sulla scena i post-rocker pesaresi Montezuma. Oggi, 27/05/17 esce ufficialmente il nuovo album intitolato Sutura, disponibile grazie a Drown Within Records, Vollmer Industries, Icore Produzioni e I Dischi dell’Apocalisse. GOTR ha scambiato qualche parola con la band poco prima del release party che avrà luogo al Sidro Club di Savignano sul Rubicone.
Benvenuti sulle pagine virtuali di Grind On The Road. Iniziamo dalla fine: Sutura arriva a sei anni di distanza dal precedente Di Nuovo Lontano. Cos’è successo in questo lasso di tempo?
Ciao e grazie mille dell’invito innanzitutto!
Guarda, in questi sei anni è successo un po’ di tutto, sia a livello di band che a livello personale. D’altra parte sei anni sono sei anni. In sei anni un bambino cresce e va alle elementari! Diciamo che siamo cresciuti, Alessandro ha avute due bimbe, Carlo è stato a lavorare un anno in Canada, ci sono venuti i capelli bianchi. Insomma, più o meno le solite cose di quando passi i trenta.
A livello di band ci sono stati dei cambiamenti: alla batteria da qualche anno c’è Giacomo al posto di Andrea e nell’ultimo anno ci siamo allargati, visto che è entrato Lorenzo con synth ed elettronica (che all’inizio doveva esserci solo su disco, ma poi ci siamo presi talmente bene che è entrato a tutti gli effetti). Ci son stati alti e bassi, abbiamo suonato poco, quasi per niente dal vivo negli ultimi 4 anni, abbiamo onestamente avuto momenti nei quali pensavamo che non saremmo mai riusciti a pubblicare altro dopo Di Nuovo Lontano; il trasferimento di Carlo in Canada stava per darci la mazzata finale, ma poi è stato in realtà il propulsore che ci ha rimessi in moto. Ci siamo detti che avevamo almeno un anno in cui non potevamo nemmeno pensare di suonare dal vivo, e allora ci siamo messi giù di testardaggine a comporre: noi mandavamo i pezzi a Carlo che in Canada registrava le sue parti e ce le rispediva. Quando poi è tornato ci siamo imposti un limite di tempo, abbiamo prenotato lo studio (senza essere davvero pronti), abbiamo aggiustato i pezzi, abbiamo registrato e oggi, dopo un anno, esce Sutura.
L’album si apre e si conclude con due spoken word, quelli di, rispettivamente, “Limiti” e “Calypso”. A cosa è dovuta la scelta di inserire i brani in queste due posizioni? Come mai “Limiti” è stato scelto come primo estratto?
Limiti è stata messa per prima perché secondo noi ha l’apertura più dinamica fra i pezzi del disco, si discosta molto dalle cose vecchie e ci piaceva l’idea di muovere un po’ le acque. Poi il testo parla di Montezuma, nella prima parte in termini proprio storici e nella seconda con un testo scritto da un ragazzo del nostro quartiere sul collettivo dal quale poi abbiamo preso il nome. E’ una presentazione di quello che siamo. Forse è la presentazione migliore che ci fosse. Calypso (nel quale legge un proprio brano il bravissimo autore Jacopo Nacci) chiude la tracklist perché è l’ultima che suoniamo anche nei concerti; è il pezzo forse più post-rock fra quelli che abbiamo, il più dilatato, quello con il finale più emotivamente tirato, e sta bene in fondo.
I titoli di alcuni brani rimandano a dimensioni geografiche concrete (“Insulo De La Rozoj”, “Oregon/Tashkent”) o astratte (“Limiti”, “Altrove”). Cosa vogliono esprimere?
Insulo De La Rozoj è puramente un omaggio all’Isola Delle Rose, lo stato autonomo fondato su una piattaforma al largo di Rimini da Giorgio Rosa (tra l’altro scomparso recentemente); avevo letto la storia e ne ero rimasto estasiato… è una cosa utopicamente meravigliosa!
Oregon/Tashkent invece deve il suo nome alla Oregon Scientific (in una versione che abbiamo pubblicato tre anni fa su una compilation, inizia con il suono di una sveglia) e a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, perché un il pezzo centrale ci dava l’idea di una carovana in viaggio nella steppa uzbeka.
Limiti e Altrove invece partono da due concetti ideologici… i limiti, geografici e personali, e la migrazione.
La personalità dimostrata in fase compositiva porta i brani ad avere una forma propria, che spesso prende le distanze dagli stilemi tipici del post-rock. Quali sono le influenze meno dirette di cui vi sentite comunque debitori?
Mah, i pezzi sono stati composti a talmente tanto tempo di distanza l’uno dall’altro (mediamente un pezzo all’anno) che ogni canzone ha praticamente una storia a sé anche per quanto riguarda le influenze (per esempio Altrove è nata in un momento in cui ero andato in fissa con Once More Round The Sun dei Mastodon e l’inizio di Mangrovia voleva essere uno stoner alla Kyuss). Abbiamo ascolti molto diversi gli uni dagli altri, dalla glitch e l’idm alla Seattle degli anni ’90 agli Zu ai Massimo Volume. E infiliamoci anche Tabula Rasa Elettrificata dei Csi, che per me e Carlo è stata la scoperta di un certo modo di fare musica molto prima di arrivare ai Mogwai.
Quanto conta per voi la dimensione strumentale della vostra musica? Si tratta di un’esigenza compositiva che conferisce maggiore libertà alla vostra ricetta sonora, o di un semplice adeguarsi a ciò che prevede il genere?
Diciamo la verità: siamo strumentali per caso.
Ed è una condizione che forse non abbiamo mai sentito come definitiva. Quando abbiamo iniziato, oramai una decina di anni fa, abbiamo composto i pezzi pensando che poi ci avremmo messo la voce. Poi i pezzi ci piacevano anche così e siamo andati avanti per questa strada. Al post-rock come ascolti ci siamo avvicinati solo dopo.
Abbiamo anche provato ad inserire delle voci, ma gli esperimenti non sono andati a buon fine… poi per come sono i nostri pezzi, per come ci siamo abituati a comporli, o metti un parlato, e finisci per diventare un surrogato dei Massimo Volume, o un urlato, e su questo ci sono regolarmente discussioni fra fazioni pro e contro nel gruppo.
Nel 2011, in concomitanza all’uscita di Di Nuovo Lontano, avete fondato la vostra etichetta, I Dischi Dell’Apocalisse. Cosa vi ha spinto a mettere su questo progetto? Come valutate la sua attività sinora?
L’etichetta non ha attività all’infuori dei Montezuma, se non il disco dei Sybil Vane, un gruppo di nostri amici.
L’etichetta è nata solo perché, visto che la maggior parte dei soldi per fare i dischi li mettiamo noi, ci sembrava divertente comparire sotto forma di etichetta. Poi una volta, quando per pubblicizzare i concerti ci chiedevano che genere facessimo, ci definivamo (e qualcuno prima di noi ci aveva definito) “il punk dell’apocalisse”, e da lì I Dischi Dell’Apocalisse.
Nella vostra biografia spiegate che il moniker Montezuma deriva da un’esperienza pregressa, quella di un collettivo. Di cosa si tratta?
Il quartiere dove alcuni di noi sono cresciuti, Soria, è una zona che seppure centrale a livello geografico rispetto a Pesaro, è abbastanza chiusa, poiché non è un quartiere di passaggio e non ci sono praticamente esercizi commerciali, quindi se non ci devi andare per una ragione specifica, non ci passi.
In questo quartiere i giovani e meno giovani si incontrano tutti nel circolo della parrocchia, che di fatto di parrocchiale ha ben poco, e nella stessa parrocchia c’è la sala prove dove fino ad un paio di anni fa suonavamo anche noi; una trentina di anni fa i giovani legati alla parrocchia ed alla sala prove (che sì, ha più o meno trent’anni) hanno dato vita ad un collettivo che gestiva la sala prove, organizzava la serata dedicata ai giovani della festa di quartiere ed in quell’occasione faceva anche uscira una fanzine con interventi delle persone del quartiere.
Il collettivo (e la fanzine) si chiamano Montezuma, nome che noi abbiamo mutuato in extremis prima del nostro primo concerto e che poi abbiamo tenuto, visto che rappresenta il contesto dove siamo alcuni di noi sono nati e cresciuti come persone e dove è nato e cresciuto anche il gruppo.
Il genere che proponete non ha un particolare pubblico di riferimento, così come avviene in altri ambiti come il metal estremo o l’indie rock. Come vi ponete in questa discussione? Vi sentite in difetto di qualcosa rispetto ad altri vostri colleghi?
No, al contrario; non avere un pubblico di riferimento è bellissimo. Non sai mai chi può venire ai concerti e piaci a persone alle quali non ti saresti mai aspettato di piacere. Seriamente, nei concerti abbiamo avuto riscontri da ogni genere di persona, con gusti musicali diametralmente opposti, e ci piace pensare che in un modo o nell’altro abbiamo trovato la giusta formula per fare una cosa musicalmente “eterogenea” e che non stia in uno schema.
Un sentore di scena, comunque, è palpabile, tanto in Italia quanto all’estero, con una folta schiera di uscite che irrobustiscono il filone post-rock e post-metal. Ve ne sentite parte? Giudicate questa crescita d’interesse come un fattore positivo o negativo, in quanto possibile responsabile di un sovraffollamento?
Ce ne sentiamo parte? Boh! Anche perché siamo stati fuori dal giro per un bel po’ di tempo e abbiamo avuto davvero poche occasioni di condividere tempo, palco e parole con gruppi che facessero post-rock o cose affini.
Ci piacerebbe farne parte, più che per un riconoscimento, per condividere idee e progetti con altre persone e altre band.
L’incremento d’interesse è un fattore sicuramente positivo, perché quando dici “post-rock” anche l’ascoltatore medio inizia a capire di cosa parli (poi noi in realtà quando ci chiedono cosa suoniamo, per tagliare la testa al toro ed evitare facce strane diciamo che facciamo rock strumentale). Poi il post-rock o il post-metal coprono un ventaglio si sonorità talmente vasto che ci sono un sacco di gruppi bellissimi che riescono ad avere e ad esprimere un proprio suono ed un proprio stile.
L’intervista è conclusa, congedatevi dai lettori di GOTR fornendo tre buoni motivi per approcciarsi al mondo dei Montezuma.
Approcciatevi a noi perché dopo sei anni abbiamo bisogno di suonare in giro e sfogare un po’ di voglie represse, possibilmente a volumi alti.
Anche il disco va ascoltato a volume alto.
Grazie!
Ciao!