Benché di recente formazione (2014), gli Uada non hanno ormai bisogno di presentazioni: dopo il fenomenale esordio Devoid of Light, il combo americano ha iniziato un’ascesa per ora inarrestabile fatta di un quasi assoluto successo di critica e pubblico e numerosi tour, e che vede come seconda tappa questo Cult of a Dying Sun.
Lo stile degli Uada segue la filiera aperta, ormai venticinque anni fa, dai Dissection e proseguita fino a giorni nostri con alfieri come gli Mgła: insomma un black metal devoto alla melodia, basato sui riff e con un gusto compositivo ancora legato al “metal” propriamente detto. Cult of a Dying Sun è un disco sostanzialmente diviso in due: “The Purging Fire” e “Snakes and Vultures” sono monumenti al black feroce e dilatato della band, dominati dalla personalità vocale di un Jake Superchi autentico mattatore e in questo secondo disco ancor più al centro delle dimensione musicale degli Uada. Il trittico iniziale è completato dalla title-track, che compone con le prime due un blocco quasi monolitico. La successiva “The Wanderer” è un lungo intermezzo semiacustico, epico e malinconico nel contempo, che spezza volutamente a metà la tracklist. il disco, però, non riprende esattamente quota con “Blood Sand Ash”, che tende alla prolissità e che non di rado, soprattutto, corre il rischio dell’autocitazionismo, in particolare su certi giri dal sapore quasi hard-rock che tendono ad assomigliarsi un po’ troppo. Torna più ispirata la successiva “Sphere (Imprisonement)”, prima della degna conclusione di “Mirrors”, sognante e dolente, che alterna – come da consolidato stile della band – furibonde sfuriate in blast beat e aperture melodiche più accentuate. Degno di nota, in particolare su questo pezzo, il lavoro del drummer Brent Boutte, entrato nella band dopo il primo disco (ma già rimpiazzato).
Il giudizio su un disco del genere non può essere, in definitiva, che ampiamente positivo, ma non è tutto oro quel che luccica. Gli Uada sanno cosa fare e sanno come farlo, ma ci sembra che corrano il rischio di cadere nella trappola dell’autoreferenzialità, sacrificando l’efficacia sull’altare di un approccio talvolta un po’ barocco e prolisso. Ma siamo senza dubbio di fronte a una delle band più interessanti del panorama black metal d’oltreoceano (e, a questo punto, mondiale), barometro delle future tendenze di questo genere.
(Eisenwald, 2018)
1. The Purging Fire
2. Snakes and Vultures
3. Cult of a Dying Sun
4. The Wanderer
5. Blood Sand Ash
6. Sphere (Imprisonement)
7. Mirrors