La contaminazione musicale ed il reciproco mutuarsi di stilemi da generi musicali differenti, che siano collimanti o addirittura distanti, negli anni ha dimostrato, specialmente nel panorama stoner, sludge e doom metal, di essere una prerogativa vincente e dalla cui scintilla scaturiscono prodotti di indiscutibile qualità. In questo fermento di idee e novità si sono inseriti, già da un apparentemente lontano 2010, gli Earth Ship, power-trio berlinese che ha reso il proprio marchio di fabbrica la suddetta commistione tra stoner rock, sludge e doom metal preparata con maestria artigianale, esibendo una sperimentazione già consolidata da svariate uscite precedenti, tra cui il piacevolmente ricordato Exit Eden (2011, Pelagic Records), da cui l’ultima uscita prende l’eredità senza riserve e la porta avanti consacrandola nello stile autentico della band, le cui fondamenta risiedono in riff groovy e trascinanti, vocals ora graffianti e distruttive, ora melodiche che seguo i passi dei delle migliori band di riferimento del genere, creando un pacchetto completo e poliedrico atto a far perdere l’ascoltatore tra visioni surreali ed allucinanti. Rappresentazione concreta ed entusiasmante di tali caratteristiche è Resonant Sun, uscito il 5 ottobre 2018 per Pelagic Records, label che ha accompagnato la band sin dagli esordi e per la maggior parte delle produzioni e che quest’anno ha riaccolto il power trio tedesco nel proprio roster. Il full-lenght si compone di otto tracce accompagnate dalla bonus track “Swoon” per la versione CD, mentre per la versione digitale, oltre alla bonus track viene aggiunta anche la cover “Children of the Revolution” dei T-Rex.
L’album si apre con “A Handful of Flies”, che senza mezzi termini scaraventa sull’ascoltatore fin da subito una tonnellata di groove dal sapore southern per cui è impossibile restare immobili, atmosfera arricchita da riff e frasi bluesy che riportano allo stile degli ultimi Clutch. Dai primi istanti del disco il frontman Jan Oberg esibisce una chitarra votata al fuzz estremo che sa essere poliedrica ed al servizio della vasta espressività proposta dalla band, mutando forma continuamente, alternando riffs punitivi, lead deliranti, frasi melodiche e cantabili, palm muting rocciosi ed imperturbabili e sezioni di psichedelia eterea, tenendo tutto insieme con un’ampia dose di catchiness, piantando le parti di chitarra nel cervello dell’ascoltatore che già dopo la prima fruizione difficilmente non si ritroverà inconsapevolmente a canticchiarle. Nella sua pluralità di stilemi la band in “Barren” tocca l’area di interesse dell’heavy psych, ricordando i connazionali pilastri del genere Colour Haze, tingendo già dalla terza traccia l’album di intense sonorità distese alternate a mid-tempo travolgenti, enfatizzati in densità di materia sonora dal basso di Sabine Oberg, sposa del già citato Jan, il cui suono è ricercato, pertinente ed atto a costruire delle solide fondamenta che reggono tutto il disco grazie ad un suono grosso, pieno ma nondimeno presente e che taglia il mix, alternando parti prevalentemente ritmiche a sezioni in cui il basso stesso si fa carico della melodia lead lasciando spazio ad una chitarra che può andare avanti indipendentemente con i suoi discorsi allucinati e deliranti. Segue “Resonant Sun”, traccia di grandiosa intensità e dalle lead melodiche e trascinanti, supportate da una texture solida, costituita da una chitarra spiritata ed ipnotizzante, una batteria implacabile ed un basso che pianta delle robuste radici ritmiche e melodiche su un terreno fertile di riff dal sapore stoner rock.
Una nota di encomio va alla modulabilità della voce di Jon, che allegoricamente rispecchia il mood totale della band, ovvero quello di voler spaziare da intenzioni che vanno dallo sludge graffiante e furioso alle melodie e le suggestioni dello stoner rock, talvolta tinto di deserto, senza mai essere sottotono e dando lo stesso peso sia da un lato che dall’altro. Appunto in “Resonant Sun” la voce di Jon ricorda, sia per qualità vocale, sia per trattamento nel mix, quella di Mario Lalli nei suoi Fatso Jetson, mentre lo strumentale riporta alla mente i migliori Queens of the Stone Age e Red Fang. In “Dormant” si alterna la già citata dualità che contraddistingue la band, iniziando nel mood del brano precedente, per poi contrastarlo con una valanga di riff sludge e da una voce viscerale e questa alternanza si ripete più volte all’interno del brano stesso, accentuando il fattore imprevedibilità che manterrà l’attenzione alta così per tutto il brano come per tutto l’album. Nella palette cromatica di generi e stili proposti “Whiplash”, a metà disco inoltrata, propone quanto ricorda The Sword per frenesia e maestria riversata in riff a cui non si potrà restare impassibili e non muovere la testa trascinati dal groove. In questo brano in particolare, ma anche in diverse altre parti dell’album, la chitarra si avvale dell’elettronica per sdoppiarsi ed armonizzarsi su se stessa, soluzione semplice ma usata con estrema creatività. Questo brano è accompagnato anche da un video di ottima produzione. Il penultimo brano “Crimson Eye”, per riffing ed intenzione, fa l’occhiolino ai fan dei Truckfighters, riproponendo addirittura un intro di batteria e chitarra “effetto radio” spesso usato dai sopracitati svedesi. Marziale ed energica, in questo brano in particolare, svetta la batteria di Sebastian Grimberg, ultimo acquisto della band che esibisce grande efficacia in ogni situazione, arricchendo di fill energici ove dovuto, picchiando con estrema forza quando richiesto ed addirittura esibendo una parte di blast beat in “Whiplash” perfettamente coerente ed inserita in maniera tale da risultare uno dei vari valori aggiunti del disco, fornendo costantemente un porto sicuro alla base ritmica di tutto il full length. A chiusura del viaggio proposto dal power trio berlinese c’è “River of Salt” che ribadisce quanto già espresso chiaramente per tutto il disco ma volendo comunque essere un’ulteriore dimostrazione di forza e maestria. Particolarmente notabile è il breakdown in cui un palm muting marziale preso da generi più estremi viene valorizzato tanto dalla ricerca del suono degli strumenti quanto dall’elettronica che viene in supporto creativo, al fine di rendere quest’ultimo opus del disco memorabile, lasciando anche l’ascoltatore più vorace non meno che sazio ma con la voglia di voler riascoltare ancora quanto ha da dire la ben oliata riff machine degli Earth Ship.
La poliedricità di questa band fa si che l’alternanza tra sludge metal e stoner rock avvenga con incredibile nonchalance, facendo di Resonant Sun un prodotto completo, che rompe la monotonia e che esprime appieno le potenzialità di una band che ha già trovato la sua strada da tempo, ovvero che ponendosi di fronte al bivio tra uno stile e l’altro ha deciso di tirare dritto abbattendo il muro di divisione tra generi, creando una commistione tra stili collimanti ma generalmente separati che consacra quest’ultima release del power-trio berlinese come un opera unica nel suo genere e di estremo valore. Traccia preferita: “Resonant Sun”.
(Pelagic Records, 2018)
1. A Handful of Flies
2. Smoke Filled Sky
3. Barren
4. Resonant Sun
5. Dormant
6. Whiplash
7. Crimson Eyes
8. River of Salt