Già dopo il primo ascolto di Nanoångström dei londinesi Bast, la domanda che sorge immediata e spontanea è: cosa definisce precisamente il prefisso post- inserito a precedere la nomenclatura di un dato genere o sotto genere musicale? Se questa disambiguazione tutt’oggi non vede confluire le opinioni unilateralmente in una definizione univoca, a far riflette ulteriormente segue un altra domanda. Nanoångström è un lavoro post-sludge metal?
Probabilmente sì, ma che faccia o meno parte di questo preciso sotto genere, di certo l’ultimo full-length del power trio inglese è una perla di rara bellezza offerta al panorama doom/sludge/stoner, allargando l’area d’interesse in analisi. E non solo perché l’ascolto ha portato a tali attente riflessioni, come solo pochi grandi lavori sanno fare, ma anche perché, nonostante la profondità della materia sonora trattata, quest’ultima opera dei Bast non si perde in complessità fini a se stesse, bensì propone un viaggio godibile, intenso e trascendentale, curato nel minimo dettaglio e che non manca un colpo. Collaborazione d’eccellenza è quella di Chris Fielding (Conan), che stavolta veste i panni del produttore. Sempre in casa Conan i Bast hanno trovato non solo una produzione di altissimo livello al prestigioso Skyhammer Studio ed una band con cui hanno già condiviso il palco più volte, ma anche il supporto di Black Bow Records, label gestita da Jon Paul Davis (sempre Conan), che si è occupata della pubblicazione di Nanoångström.
L’album si apre con “Distant Suns”, traccia strumentale che introduce al full-length gradualmente, creando una coltre di nebbia e gettando la mente dell’ascoltatore del vuoto, grazie alle sue atmosfere distese, contraddistinte da larghi riverberi e delay che supportano lo strumentale spiritato dei tre strumenti coinvolti, che attraverso suggestioni e sussurri portano a “Far Horizons”, seconda traccia del disco, che presenta, già dai primi momenti della sua esecuzione i molteplici elementi pregevoli di Nanoångström, tra i quali un songwriting di altissimo livello, ricco di dinamica, un esempio tra i tanti è la sezione strumentale arpeggiata centrale proprio di “Far Horizons”, da cui emerge il basso di Gavin Thomas che si scosta dall’unisono puro per avvalersi di una funzione di brillante leading, soluzione, questa come altre nel disco, che spingono la memoria a quanto proposto dai Tool di 10.000 Days.
Un ulteriore contributo di alto livello al disco è stato dato da Chris Naughton dei Winterfylleth, come guest vocalist in “The Ghosts Which Haunt the Space Between the Stars” ed in “The Beckoning Void”, raggiungendo insieme ad esso indiscutibili vette di qualità ed espressione che accentuano il lato black metal della band. Questa venatura black è incarnata appunto dalla terza traccia “The Beckoning Void”, che si palesa con un intro di blast beat a supporto di un tormentato riff in tremolo picking che guarda con decisione al black metal di stampo moderno. Successivamente è proposta una sezione centrale clean che da contrasto al brano, rendendolo vivido e limpido nelle sue intenzioni e suggestioni. Il passaggio alla sezione successiva è realizzata con un build-up notevole, inserendosi in una particolarissima sezione downtempo melodica, caratterizzata da un overdubbing di voce giocato tra vocals distorte e clean, in cui Craig Bryant (chitarra e voce della band) mette in chiaro quali siano le sue capacità, a dir poco superbe per espressione ed interpretazione.
La cura e la ricercatezza riposta nei suoni è impeccabile, nonché valorizzata da una produzione di alto livello che ha saputo carpire ed esaltare quanto proposto dalla band. Queste qualità sono particolarmente apprezzabili nella title track, che riconfermando quanto esposto già nell’opener “Distant Suns”, espone la summa delle caratteristiche peculiari che si trovano per tutto lo svolgersi del disco, con un focus sul riffing perseguitante, sostenuto dalla batteria marziale di Jon Lee (batteria e voce) che non risparmia espressioni che vanno oltre al puro lato ritmico, un basso roccioso che taglia il mix e che fornisce delle fondamenta solide sia nei momenti di unisono distruttivo, sia nelle sezioni in cui procede verso armonizzazioni e linee di assoluta creatività ed efficacia. Successivamente è presentato “A Red Line Through Black”, il brano più “breve” dell’album con i suoi 9:55. Il full-length si spinge lontano con il minutaggio, fino ad arrivare ai 12:33 del brano di chiusura, tempo di riproduzione medio pienamente giustificato dalla ricca evoluzione dei brani, che si avvalgono di più metamorfosi durante il loro excursus, che manterrà sempre alto il livello di attenzione dell’ascoltatore come la qualità della proposta musicale. Nel sopracitato brano l’atmosfera è distesa ed intensa, il contrasto tra voce melodica clean e growl profondo è ispirato, così come la volontaria frizione tra larghi accordi doom e parti strumentali mid-tempo che creano un mood struggente e riflessivo, che continua, seppur interpretato in diversa forma, dallo stacco di metà brano in cui si inserisce un blast-beat seguito da delle vocals che sprofondano in se stesse.
La ricchezza dei contenuti proposti fino a questo momento, rende la catalogazione in termini di genere di Nanoångström un compito non banale, caratteristica che conferma la bontà del prodotto. Tra le atmosfere annoverabili nella proposta dei Bast va citato il progressive inteso come sperimentazione e contaminazione. Nonostante quest’album non sia esattamente inseribile nella macrosfera peculiare del progressive metal, allo stesso tempo esso strizza l’occhio ai fan del progressismo con ritmiche, sperimentazioni ed armonie ricercate. Ma l’ampio territorio musicale coperto dall’album è ribadito fino all’ultimo momento dell’ultima traccia “The Ghosts Which Haunt the Space Between the Stars”, in cui si ritorna alle atmosfere black, che siano definite post-black Metal o black metal moderno. Caratterizzante di questo brano è una sezione melodica dalle forti suggestioni, ma non per questo meno perseguitante nel riffing. Ulteriore peculiarità che viene riproposta in questa traccia è la ben escogitata interpolazione tra sezioni frenetiche a segmenti di stampo doom metal, la cui transizione viene sempre eseguita con soluzioni di ottima creatività, che ribadiscono la qualità assoluta del songwriting proposto.
La fine dell’ascolto analitico di questo disco prende in contropiede quando, ancora affamati di contenuti, si vanno a cercare altre release nella discografia della band inglese, alle cui spalle figura soltanto l’ottimamente accolto Spectres (2014). Con Nanoångström i Bast affermano una piena maturità artistica e una chiarezza nelle idee e nella direzione intrapresa, presentando quest’ultimo full-length come un lavoro in cui si evince una conoscenza, un gusto ed un esperienza che vengono chiaramente dalle menti di musicisti navigati, che hanno voluto proporre con quest’album la crème de la crème della loro espressione artistica e del genere (in senso lato) in cui sono inseriti. Va riconosciuto a questa release l’epiteto di instant classic ed il merito di aver saputo premiare l’ascoltatore che ha osato avventurarsi nell’underground, anche se risulterebbe davvero opportuno immaginare presto Bast come una realtà che viene riconosciuta dal grande pubblico per la sua assoluta creatività, ispirazione e qualità. Traccia preferita: “The Ghosts Which Haunt the Space Between the Stars”.
(Black Bow Records, 2018)
1. Distant Suns
2. Far Horizons
3. The Beckoning Void
4. Nanoångström
5. A Red Line Through Black
6. The Ghosts Which Haunt the Space Between the Stars