Quello dello stoner rock/metal ad oggi è innegabilmente un territorio esplorato in lungo e in largo, avendo toccato esso una moltitudine di forme ed espressioni, e da qui la necessità di sottoporre ad un’attenta selezione le uscite del genere, che sempre più spesso si spinge a gli estremi sia da una parte che dall’altra, con dischi di assoluta qualità e creatività ma con altrettanti prodotti che, nel complesso di una scena a rischio saturazione, non sono riusciti a lasciare un contributo significativo. Tale fenomeno, dovuto anche dall’inflazione della domanda e dell’offerta a cui la scena stoner è andata incontro negli ultimi anni, però riserva talvolta delle sorprese che smentiscono il suo stato di saturazione, allargando gli orizzonti e dando un respiro di sollievo al genere, ai musicisti coinvolti ed al pubblico di ascoltatori navigati così come a quello dei newcomer.
Quest’ultimo infatti è il caso di Ode to Oblivion dei nostri connazionali Oreyeon, che senza ombra di dubbio ha dato un contributo reale ed efficace al frangente musicale in cui si inseriscono i quattro di La Spezia, dimostrando che specialmente dall’underground possono emergere prodotti che non solo danno lustro a tale panorama, ma che oltretutto non hanno nulla da invidiare alle produzioni internazionali più prestigiose, dimostrando che il suddetto genere, ormai trentenne, se esplorato con curiosità, creatività ed inventiva, abbia ancora molto da dire. Il passo in avanti fatto dal più canonico precedente full length Builder of Cosmos (2016) è significativo. A due anni di distanza la band è maturata sotto ogni punto di vista, trovandola ad oggi in forma smagliante e con dei contenuti più consapevoli e sviluppati con maggiore cognizione di causa. Il disco, uscito il 15 marzo 2019, è stato rilasciato tramite Heavy Psych Sounds in CD ed in diverse edizioni in vinile 12” molto curate, unendo quindi due realtà italiane dello stesso settore accomunate dalla stessa passione per la qualità. Dato il potenziale della label e della stessa band, non ci stupirebbe ritrovare presto gli Oreyeon tra i pesi massimi del genere, di cui molti già dentro Heavy Psych Sounds.
Il full length con i suoi 40:29 minuti è conciso, non si perde in prolissità, sia in termini di minutaggio che di contenuti, a partire dall’opening track “T.I.O” che introduce il disco con un intro psichedelico e dal respiro space rock, avvalendosi di synth e sound FX di prima qualità e ben contestualizzati. Il passo dalle atmosfere trippy al riffing serrato dei migliori Kyuss di Blues for the Red Sun è comunque breve, volendo quindi esplicare fin dai primi momenti del disco quali sono i capisaldi del sound e delle atmosfere su cui è basato il viaggio proposto da Ode to Oblivion. Oltretutto quest’ultimo tende ad inserire elementi riconoscibili per l’ascoltatore navigato, facendo riferimento alle migliori realtà sia dello stoner/psych sia alle macrosfere d’interesse limitrofe, come nel caso della voce del cantante bassista Richard Silvaggio, che riprende brillantemente lo stile e l’espressività del grunge à la Layne Staley, interpretandone però le suggestioni in una prospettiva personale e affine al genere di riferimento. La title track del disco è un valido compendio di quanto di buono detto finora, non solo esponendo, nelle chitarre di Andrea Ricci e Matteo Signanini, un riffing ispirato, intenso e proveniente non solo dalla migliore tradizione stoner californiana di Kyuss, Fu Manchu e Nebula, ma proponendo al contempo un excursus verso atmosfere heavy psych di matrice europea di Colour Haze, Sungrazer e Samsara Blues Experiment. Il riffwriting, assolutamente curato nei minimi dettagli, attinge a piene mani dai The Sword, strizzando però l’occhio a particolarità e finezze sia ritmiche che armoniche, svincolando l’espressione della band dallo stoner rock nudo e crudo, mettendo tale ricerca al servizio dell’espressione autentica dei brani. Particolare nota di merito va ad una sezione ritmica d’eccellenza fornita dal batterista Pietro Virgilio, che sviluppa un supporto molto espressivo e che sviluppa una certa alchimia con il basso del già citato Richard Silvaggio, che si avvale di progressioni armoniche interessanti e perfino di alcune sezioni di fraseggi/soli di grande originalità ed inventiva, sviluppando oltretutto un interazione tra basso e voce tanto personale quanto efficace. Restando sul tema del multitasking efficace, le riprese e la prima parte della produzione del disco sono state curate dal chitarrista Matteo Signanini al suo Smoking Goat Studio, continuando la produzione in fase di mix al Waiting Room Audio di Enrico Baraldi, per finire con il master di Justin Perkins del Mystery Room, risultando in ultima analisi in una produzione complessiva di alto livello che ben si inserisce agevolmente nel contesto internazionale.
Dunque Ode to Oblivion, oltre ad essere un prodotto decisamente riuscito, è la dimostrazione tangibile che uscire dalle convenzioni tipiche del genere, fino ad inglobare in un’unica opera suggestioni e caratteristiche tratte da panorami differenti, può essere un esperimento brillante ed efficace. Specialmente se, come nel caso della proposta degli Oreyeon, se la suddetta voglia di osare è accompagnata da una considerevole maturità artistica e cognizione di causa, avendo permesso ai quattro di La Spezia di creare un compendio di quanto di meglio il panorama psychedelic stoner rock/metal, e non solo, oggi abbia da offrire. Traccia preferita: “Ode to Oblivion”.
(Heavy Psych Sounds Records, 2019)
1. T.I.O.
2. Trudging to Vacuity
3. Ode to Oblivion
4. Big Surprise
5. The Ones
6.Starship Pusher7.5