Correva l’anno 2015, quando piombava sugli scaffali di ogni blackster un titolo destinato a far parlare di se, per tutta una serie di motivi (e vicissitudini ad esso legate…). Parliamo di quell’album dalla copertina dorata raffigurante un’icona ortodossa; stiamo parlando – e probabilmente lo avrete già intuito – di Litourgiya dei polacchi Batushka. Critica e pubblico lo accolsero subito come un trionfo, pochi altri lo definirono una pagliacciata (ce ne faremo una ragione…), ma, dati alla mano, fino allo scorso inverno lo è stato, un trionfo a tutto tondo: tour promozionali incessanti, date su date, recensioni e responsi radenti l’eccellenza…poi il tonfo, le infamie, le calunnie pubbliche. La separazione. I due membri si cacciano a vicenda attraverso i propri social sul finire dello scorso anno. I Batushka che abbiamo conosciuto nel 2015 cessano di esistere nel momento in cui nascono due nuove creature: i Batushka di Krzysztof Drabikowski e i Batushka di Bartłomiej Krysiuk. No, non è uno scherzo.
Fatta questa lunga, ma doverosa premessa, veniamo ai veri protagonisti di questa recensione: i Tableau Mort e la cristianità ortodossa, fil rouge che collega, tematicamente parlando, i Nostri a chi? Ai Batushka 1.0 e 2.0. C’è chi, come chi sta scrivendo, ne è uscito schifato dall‘insoluta diatriba (peraltro ancora in corso…) fra gli ex membri della band polacca: ecco, quindi, giungere da Londra l’esordio lungo di questa band romena, pronto a dissetare la vostra sete di black farcito da elementi sinfonico-religiosi. Sulla band si sa che quattro membri su cinque sono di origine romena, eccetto il cantante, James Andrews, ma da anni chitarristi, bassista e batterista risiedono nella capitale inglese. Nati nel 2017, i Nostri fino ad oggi hanno pubblicato due singoli, “Impending Corruption” e “Fall of Man”, brani confluiti poi in questo esordio Veil of Stigma. Book I: Mark of Delusion pubblicato dalla label romena Loud Rage Music. Se di elemento sorpresa è difficile parlare in questo caso, come si fece a suo tempo con i Batushka, sarebbe altrettanto disonesto non spendere parole d’apprezzamento nei confronti dei Tableau Mort, dato il risultato raggiunto e data, soprattutto, la difficoltà di coniugare forma (black) e contenuto (canti ortodossi romeni). Come la band polacca, anche i Nostri sul palco adoperano abiti ecclesiastici, ma riteniamo opportuno concludere qui gli accostamenti con i precursori di questo approccio al metallo nero, perché i Nostri suonano un black in cui si intravedono incursioni provenienti da altri lidi musicali, doom, death(core) e post metal su tutti. Assodato quindi che questo Veil of Stigma risulta un ascolto più che consigliato ai fan del genere, passiamo ora alle noti dolenti. Sono due, la prima più sostanziosa rispetto alla seconda, ma non sono gravi. La prima riguarda la componente liturgica, poiché ridotta all’osso. Se in Litourgiya, black e liturgia si rincorrevano per tutta la durata del platter, dandoci sempre l’impressione di trovarci in un qualche monastero ortodosso, in Veil of Stigma la componente religiosa è relegata a mera comparsa, e nulla di più, seppur sia perfettamente amalgamata. Scelta volontaria o poca consapevolezza dei propri mezzi? Difficile da stabilire, certo è che risulta essere un vulnus non da poco, dato come vengono sviluppati superbamente i tappeti di organo da George Topor e i cori dello stesso supportato dal batterista George Bratosin. E per un disco che si qualifica come un excursus fra l’ortodossia romena, questa carenza è una lacuna chiaramente da considerare. Secondo problema, non grave come il primo, ma fastidioso: non sembra un disco composto da quattro membri su cinque romeni. Non che si debbano a tutti i costi emulare i Batushka, ma dato l’evidente nume tutelare, dato l’evidente approccio sul palco, perché adoperare l’inglese a discapito della propria lingua d’origine, conferendo così un taglio ancora più personale e autentico all’opera? O perché non aggiungere strumenti tradizionali così da darci l’impressione di ascoltare un qualcosa di davvero est europeo? Al netto di queste due cadute stilistiche, è evidente che i Nostri siano in grado di scrivere canzoni articolate e dotate ognuna di una propria anima, come emerge in più tasselli. La favolosa bordata intitolata “Impending Corruption”, in cui qui sì, prevalgono i canti e il tutto gira a meraviglia, come funziona anche la successiva “Fall of Man”, con il suo incedere doom, con cambi tempo da cardiopalma e con aperture atmospheric sostenute dalle voci in pulito. Con la successiva “Carpenter of Sorrow” si raggiunge uno dei vertici del lavoro, nel songwriting e in ciò che si pretende dai Tableau Mort: intro affidato all’organo con forti rimandi al symph black e break centrale in cui caldi canti ci accompagnano verso la catarsi del finale. Proseguendo verso la conclusione incontriamo “Mother’s Promise”, in cui melodia e violenza sfumano nell’ultimo minuto a favore di una dolcezza dal sapore romantico, ancora una volta grazie alla combo canti/organo. Ed infine, “Beyond His Gaze” ci prende a ceffoni in faccia con una sequenza da manuale di riff e pattern di batteria (da appuntare il momento compreso tra 1.50 a 2.10), a dimostrazione di come la band, nel caso non fosse bastato sino a questo momento, sa suonare.
Un primo lavoro di tutto rispetto dunque, questo Veil of Stigma, che mette già in luce una quintetto con idee chiare e con altre assolutamente da approfondire, in cui è mancato un soffio per ambire a valutazioni importanti. Auspichiamo in un secondo lavoro che conduca la band a fondo verso quelle che sono le loro vere tradizioni religiose, sacrificando anche alcune incursioni acustiche qui presenti non sempre necessarie. La curiosità è tanta.
(2019, Loud Rage Music)
1. Impending Corruption
2. Fall of Man
3. Carpenter of Sorrow
4. Broken on The Wheel
5. Tapestry Sewn
6. Mother’s Promise
7. Beyond His Gaze