I Dannati della terra (Wretched of the Earth) è un noto saggio di Frantz Fanon, uno dei principali esponenti del movimento terzomondista per la decolonizzazione. Non è un caso dunque che una band denominata proprio Wretched of The Earth definisca il prodotto della propria creatività quale anti-colonial d-beat, in una temperie in cui tra i cosiddetti primo e terzo mondo intercorrono rapporti complessi come non mai, tra crisi migratorie, cambiamenti climatici e indecifrabili equilibri economici. Tale rimarcabile impegno tematico trova il suo corrispettivo musicale in un amalgama in cui trovano parimenti post-hardcore, crust e punk, innervati da una verve melodica dal sapore heavy. Passiamo dunque all’analisi di Collapse//Rebirth, originariamente rilasciato nel 2018 come autoproduzione ed attualmente rilanciato dalla italiana Shove Records, che ha sapientemente messo sotto contratto la formazione di Portland.
Il lavoro viene introdotto da “No Sanctuary”, aprentesi con un arpeggio melanconico in chiave minore, incedente fino ad un’apertura cadenzata che ricorda i migliori Fall of Efrafa. Oltre al buon guitarwork – alternante un riffing massiccio e armonizzazioni arpeggiate – spicca la dinamica performance al microfono di Rachel Aguirre, graffiante ed espressiva. Un robusto giro di basso elettrico dischiude “Ku`e”: il brano trae il proprio nome dall’espressione polinesiana indicante la strenua resistenza. Attraverso un chorus catchy e il dialogo tra le ugole della Aguirre e degli altri componenti della band prende forma un canto di protesta nei confronti dell’occupazione illegale hawaiana. Seguono le dopaminergiche “Fists up” ed “Hechiceria”, veri e propri inni contro il razzismo e la sottomissione cantati in lingua spagnola. Il minutaggio si fa qui piuttosto esiguo, ed i Nostri danno luogo a composizioni dal marcato sapore punk/hardcore. “Climate of Denial” risulta invece maggiormente strutturata e ritmicamente varia, pur non sacrificando nulla all’immediatezza espressiva che caratterizza la release tutta. A far calare il sipario su Collapse//Rebirth è “Ke’tsa”, dischiusa, come avveniva per la opener, da un arpeggio riverberante; anche in questo caso l’intreccio tra inserti in clean guitars, armonizzazioni elettriche e un riffing incisivo e drammatico consacrano il brano alla tradizione del miglior crust, qua e là trafitto da afflati post-metal. Non potrebbe esservi miglior cornice ad un testo celebrante il legame indissolubile con le proprie radici, esemplificato da una pampsichistica identificazione con gli elementi naturali:
“I’m Eje’katl (Wind)
I’m Tie’tl (Fire)
I’m A’tl (Water)
I’m Ue’ ue (Old wisdom)”
Cosa dire dunque, giunti al termine di questo viaggio sospeso tra ribellione e speranza? Pur non apportando significative novità ad un genere già ampiamente esplorato, i Wretched of the Earth ne utilizzano sapientemente gli stilemi, dando vita ad un amalgama che risulta in ogni caso fresco e godibile. Tutto ciò è sapientemente veicolato da una produzione piuttosto pulita ma non eccessivamente netta, in grado di lasciar udire distintamente tutti gli strumenti senza tuttavia apparire artificiosa. Il più recente lavoro del combo di Portland può dunque essere fatto proprio, pressoché a scatola chiusa, da fan di lunga data di formazioni quali Tragedy e Fall of Efrafa pur potendo facilmente far breccia nel cuore di tutti gli appassionati di hardcore.
(Shove Records, 2019)
1. No Sanctuary
2. Kū’e
3. Fists Up
4. Hechiceria
5. Razma Mellat رزم ملت
6. Climate of Denial
7. Ke’tsa