«Egli, vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiaia, spinge la zattera con una pertica e governa le vele e trasporta i corpi sulla barca di colore ferrigno.»
È così che nel VI libro dell’Eneide viene magistralmente descritto Caronte, traghettatore dell’Ade che, come psicopompo, aveva il compito di trasportare le anime da una riva all’altra del fiume Acheronte. Ed è allo stesso modo, riprendendo l’iconografica mitologica greco-romana e dantesca, che gli australiani Destroyer of Light scelgono di raffigurarlo sull’artwork del recentissimo lavoro in studio Mors Aeterna. Ciò non rappresenta tuttavia un puro e semplice vezzo, volto a celebrare una certa fascinazione per l’oltretomba tipica della temperie musicale nella quale i nostri si collocano, bensì rappresenta il suggello alla narrazione di un concept permeante la produzione nella sua totalità. Novello Orfeo, il protagonista del racconto affronta il viaggio al termine della propria vita, tra confusione, timore, stordimento e progressiva dissoluzione. La nerissima trama testuale sin qui delineata trova il proprio contrappasso in una dimensione musicale nella quale a dominare non sono riff cinerei ed asfissianti, bensì un monolitico muro di suono trafitto da splendide armonizzazioni melodiche.
Veniamo tuttavia ad un’analisi più puntuale della produzione. “Overture Putrefactio”, come si evince dal titolo, rappresenta un breve atto introduttivo; le tastiere delineano qui un’atmosfera ovattata ed a tratti sinistra, facente quasi segno ad un certo cinema horror anni ’70. Segue la vera e propria opener, “Dissolution”, dischiusa da un riffing di matrice heavy, armonizzato non soltanto da arabeschi melodici affidati alla chitarra solista ma, soprattutto, alla notevolissima prova vocale di Steve Colca. Quest’ultimo è infatti in grado di sfoderare clean vocals possenti ed epiche che, lungi dall’essere un mero addendum alla componente strumentale, sembrano quasi orchestrare e dirigere le composizioni, conferendo ad esse le tonalità emotive desiderate. La successiva “Afterlife”, veicola l’orrore del protagonista, che non è ancora in grado di comprendere appieno cosa gli è accaduto (“Is this a dream?”), sperduto in una dimensione onirica popolata da spettri. Al giro di basso spiraliforme introducente il brano nonché al raffinatissimo guitar work si unisce una prestazione vocale drammatica ed incredibilmente espressiva. E se “The Unknown”, con i propri synth lisergici, rappresenta un intermezzo dal sapore quasi new-wave, “Falling Star” colpisce al cuore l’ascoltatore mediante efficacissimi assoli ed una devozione totale all’arte del riffing -qui di scuola marcatamente settantiana. “Burning Darkness”, inizialmente adombrata da progressioni in clean guitars, si trasfigura ben presto in un ordito a grana grossa scandito da riff graffianti e cadenzati. L’intermezzo tastieristico “Pralaya’s Hymn” – nel quale piano, archi e synth si intrecciano in una partitura dal sapore crepuscolare- lascia velocemente spazio alle progressioni dal retrogusto blues di “Loving the Void”, una delle tracce più debitrici dell’esempio degli antesignani del genere, primi fra tutti i Black Sabbath. Dopo la drammatica strumentale “Into the Abyss”, realizzata mediante semplici ed efficaci incursioni di basso, chitarra elettrica e pelli in una trama tratteggiata da un arpeggio acustico, a far calare il sipario su Mors Aeterna è “Eternal Death”. Quest’ultima è presumibilmente la traccia presentante le tonalità emotive più cupe e plumbee del disco, rappresentando di fatto la consapevolezza, da parte del protagonista, che non vi sarà più alcun ritorno alla dimensione terrena, ormai una pallida luce in lontananza.
Si dice spesso, non a torto, che il terzo album costituisca per qualsivoglia formazione, quasi per definizione, il lavoro della maturità; ciò è indubbiamente vero per i Destroyer of Light, che ci presentano un’opera completa, maestosa, carica di pathos e di consumata maestria nel piegare doti tecniche acquisite negli anni alle proprie esigenze espressive. Qualsiasi appassionato di doom e generi affini dovrebbe dunque acquistare, pressoché a scatola chiusa, questa gemma oscura, e goderne mentre l’estate lentamente -ma inesorabilmente- scivola nell’autunno.
(Argonauta Records, 2019)
1. Overture Putrefactio
2. Dissolution
3. Afterlife
4. The Unknown
5. Falling Star
6. Burning Darkness
7. Pralaya’s Hymn
8. Loving the Void
9. Into the Abyss
10. Eternal Death