Definire Death Atlas un disco atteso è quasi un eufemismo: i Cattle Decapitation sono il genere di band che pondera ogni movimento, ma, quando decide di muoversi, scatena un putiferio. Una delle peculiarità della band americana è il saper coniugare due aspetti molto distanti come violenza senza riserve e sperimentazione, mantenendo una gran credibilità anche osando molto. L’enorme personalità e indiscutibile capacità del frontman Travis Ryan la fa ancora da padrona; quest’ultimo infatti, con i suoi enormi spettro vocale e grande inventiva, non manca di stupire su tutti i fronti, tanto per la brutalità estrema di cui è capace, quanto per i versi malati e sinistri che è in grado di produrre. Ancora una volta la sua voce è un cardine portante dei Cattle Decapitation: prendere o lasciare.
Prima di parlare del nucleo di Death Atlas, mi va di spendere qualche parola per un aspetto che mi ha piacevolmente colpito: la cinematicità di gran parte dei brani messi ad incorniciare l’opera vera e propria, un enorme tessuto sonoro fatto di campioni, intro parlati, spezzoni ed effetti sonori che calano l’ascoltatore in un mood molto più coinvolgente ed empatico rispetto la tematica crudele e attuale dell’album. Quest’ultimo, ancora una volta, gravita intorno alla condizione umana e il destino di questo pianeta morente, incluse le responsabilità della nostra specie in questo scempio. Bene, è giunta l’ora di parlare di death metal: i Cattle Decapitation non lasciano mai insoddisfatti, Death Atlas spinge senza pietà, ancora una volta le soluzioni sono leggermente meno scontate rispetto alla media del genere, con alcune derive più o meno melodiche e atmosferiche, ariose e, a volte, con qualche richiamo ai contrappunti tipici del black metal più patinato. Per il resto, troviamo riff monolitici, una batteria di livello assoluto, e un Oli Pinard in gran spolvero, grande ciliegina sulla torta, aiutato da una produzione molto ben articolata che, sebbene sia estrema, lascia grande respiro ai suoni, mai troppo stereotipati. Al basso viene lasciato inoltre il polso della situazione, con alcune dinamiche incredibilmente sorprendenti (come ad esempio nella titletrack, “Vulturous”, e nella meravigliosa “Time’s Cruel Curtain”).
Ci troviamo dinanzi ad un album a tutto tondo, così ricco e ben pensato da coinvolgere e stupire fin dal primo ascolto, che cresce e si districa se approfondito, riuscendo a svelare dettagli più o meno velati con il passare del tempo. Lasciatemelo dire: per osare così tanto in un genere tradizionalista come il death metal, bisogna essere folli o geni, e non sta a me giudicare i Cattle Decapitation in questo. Mi basta che non smettano mai di essere ciò che sono. Death Atlas è di gran lunga uno dei dischi che mi ha rapito di più nel corso del 2019, e mi fa sperare di incrociare i Cattle Decapitation live al più presto. Si tratta di un disco da avere assolutamente.
(Metal Blade Records, 2019)
1. Anthropogenic: End Transmission
2. The Geocide
3. Be Still Our Bleeding Hearts
4. Vulturous
5. The Great Dying
6. One Day Closer to the End of the World
7. Bring Back the Plague
8. Absolute Destitute
9. The Great Dying II
10. Finish Them
11. With All Disrespect
12. Time’s Cruel Curtain
13. The Unerasable Past
14. Death Atlas