Come di consueto il sottobosco della vasta scena metal francese, oltre ad essere estremamente popoloso, sa ricompensare con importanti soddisfazioni l’utente che vi si addentra e che, se avrà scrutato con la dovuta perizia, verrà a conoscenza di realtà emergenti di assoluto valore e di grandi speranze. Come quella dei Verdun, che con Astral Sabbath arrivano alla loro terza release, preceduta unicamente da un EP ed un full length (The Eternal Drift’s Canticles, 2016), configurando così una discografia esigua ma di qualità, specialmente considerando il progresso tangibile della band da un opus all’altro. La terza iterazione dei cinque musicisti di Montpellier viene rilasciata il 15 novembre scorso da Throatruiner Records e da Deadlight Entertainment, coprendo l’ambito dei formati digitali/CD nonché producendo una run limitata di doppi LP.
Nel proprio potpourri di generi limitrofi, in Astral Sabbath, convivono con equilibrio diversi stilemi, facendo raggiungere alla band un’identità ben definita, corrispondendo essa ad uno degli elementi più rilevanti al fine di conseguire la maturità artistica. Seppur tale meta sia per i Verdun alle porte, al momento non è ancora stata raggiunta, a causa di un’opacità generale che permea la suddetta ultima release, nonostante ciò la band sembra avere tutti gli strumenti necessari per dar lustro al proprio potenziale e farlo brillare, al fine di poterlo esprimere al massimo. Se da un lato Astral Sabbath soffre della presenza di alcuni cliché del genere (anche a causa di un panorama veramente saturo e già battuto), dall’altro si assiste a svariati momenti di qualità, che esplicano un doom/sludge metal consapevole e con dell’evidente letteratura alle spalle, specialmente a metà disco tra i brani “Venom(s)” e “The Second Sun”, nei quali, fra tutti (ma non esclusivamente), le vocals del cantante Paolo Rui risaltano per espressione ed interpretazione, avvalendosi anche di fx e distorsioni che supportano dei passaggi vocali intensi e di buona tecnica, per cui il pathos rappresenta la propria ragion d’essere, facendo scostare raramente le vocals dalla linea monotonale, fissa ma stabile, che consapevolmente conosce cosa e quanto dover fornire al contesto in cui si inserisce, risultando di attitudine anche hardcore, riuscendo però ad essere perlopiù efficace. Un altro merito del disco consiste, come già detto, nel suo essere eterogeneo, variando di intensità ed esibendo molteplici ispirazioni di diversa natura arrangiate con efficacia, che partono dal predominante doom/sludge metal di stampo europeo (che fa riferimento all’opera degli Electric Wizard, Bongripper e parzialmente anche degli YOB), comunque interpretandolo pertinentemente al periodo storico in cui Astral Sabbath si inserisce, quindi evitando il retrogusto di naftalina in cui cadono ancora oggi alcune release doom metal, strizzando persino l’occhio al post-metal, sia per l’interpretazione vocale, sia per numerose linee di chitarra, melodiche, malinconiche, struggenti e traenti ispirazione da prodotti musicali preesistenti, ma con la volontà di progredire artisticamente partendo da essi. Il disco presenta un comparto tecnico che, a differenza del contenuto del disco in sé, non commette alcun passo falso, risultando nella completa magnificazione di quanto proposto dalla band francese, che ha tratto indubbiamente beneficio dal tracking e dal mix di Cyrille Gachet (Fange, Year Of No Light, Chaos Echoes), che ha elaborato un prodotto intellegibile, moderno, godibile, potente e che espone al massimo del proprio potenziale ogni elemento coinvolto.
L’impressione però è che i Verdun siano una di quelle band più efficaci sul palco che sul disco, vicissitudine d’altronde consueta per le band di questo panorama, complici anche gli altari di strumentazione ed il muro di suono tipico del doom/sludge metal, che può scuotere le interiora e far soccombere la ragione di fronte ad un quantitativo d’aria importante spostata da speaker pilotati da innumerevoli watt. Ma il disco, non potendosi avvalere di tale caratteristica, configura un ascolto di assimilazione piuttosto ostica, specialmente ai primi play, comunque riscattandosi dopo aver ascoltato con attenzione le ragioni esposte in Astral Sabbath, che si propone come una release che sta ad un passo dalla maturità artistica della band e che presenta alti e bassi, ma che nei suoi momenti di qualità non lesina apici di sentita espressione, complici un modo coinvolgente e trascinante ed una grande comunicazione emotiva, facendo supporre potenzialmente un futuro per i Verdun tra i big della scena doom francese.
(Throatruiner Records, Deadlight Entertainment, 2019)
1. Return Of The Space Martyr
2. Darkness Has Called My Name
3. интерлюдия
4. Venom(s)
5. The Second Sun
6. L’ enfant Nouveau
7. Ästräl Säbbäth