Aludra -termine derivante dall’arabo, e avente come significato “la verginità” – è una stella australe nonché la quinta, in ordine di luminosità, del Cane Maggiore. Tale nome, sin dal 2018, è stato preso in prestito da una formazione statunitense, e di certo non a caso. La tematica astronomica rappresenta difatti sin dagli esordi il riferimento tematico essenziale della band che, in questo secondo ed ultimo Mass Stellar Graves, è volto ad indagare l’enigma di quelle entità comunemente note come buchi neri, destino comune e termine naturale di alcune stelle. Tale questione è particolarmente calzante rispetto al monicker stesso: Aludra è difatti una stella molto massiccia (si parla difatti di quasi 20 masse solari), che collasserà probabilmente in buco nero in futuro.
I mezzi espressivi utilizzati per portare all’espressione tutto ciò sono quelli propri del black metal atmosferico, nella sua incarnazione più raw e primigenia: a blast beat ferini, sui quali si stagliano melodie glaciali e pervasive, vengono intervallati passaggi ambient che potremmo definire spaziali: ascoltando tracce come “Coma B” sembra di trovarsi a tratti al cospetto della colonna sonora di un film di fantascienza anni Novanta. In brani quali “Out of Chaos” troviamo invece un andamento maggiormente misurato, vicino per certi versi al depressive, laddove episodi come “Sagittarius A*” e “Black Void Damnation” risuonano di sfumature di quasi burzumiana memoria. L’originalità della proposta della formazione si esaurisce dunque con il sostrato concettuale sotteso alla release, che per il resto si alimenta di stilemi ampiamente collaudati, e non sempre utilizzati in maniera brillante. Se si eccettua difatti la traccia di apertura, “Imprisoning Light”, il minutaggio riservato ai singoli atti appare fin troppo dilatato, soprattutto in virtù della poca variabilità delle soluzioni ritmiche e melodiche. Tutto ciò poggia su una produzione volutamente low-fi e casalinga – particolarmente estrema anche per un’autoproduzione: il volume generale è molto basso, i suoni sono ovattati e poco definiti, soprattutto la batteria che è completamente spenta sui fusti, le chitarre sembrano tutte su frequenze medio alte. Il mix è abbastanza confuso, creando un amalgama nebuloso da cui escono appena le chitarre, le voci e la batteria. L’immagine stereo non è sfruttata appieno, sicché sembra quasi di trovarsi dinanzi ad un mono.
Mass Stellar Graves rappresenta dunque un’occasione almeno in parte mancata per un concept e un filone tematico potenzialmente interessanti e poco comuni. Pur potendo potenzialmente fare la gioia dei fan del raw black metal underground più peculiare e di nicchia, spicca poco nell’ipertrofia di produzioni simili affollanti il web oggigiorno.
(Autoprodotto, 2019)
1. Imprisoning Light
2. Coma B
3. Sagittarius A*
4. Out of Chaos
5. Black Void Damnation
6. Mass Stellar Graves