Se il 2020 è stato un anno per molti versi da dimenticare (ma che ricorderemo tutti molto bene), non si può dire lo stesso per quanto concerne l’aspetto discografico, che fino ai suoi sgoccioli ha riservato release di spessore, tra cui il secondo full length dei piemontesi LaColpa. Post Tenebras Lux arriva dopo tre anni dall’ottimamente accolto Mea Maxima Culpa (Toten Schwan Records, 2017), inabissando ulteriormente in un’impenetrabile oscurità l’originale formula della band, che qui vede proporre circa 43 minuti di blackened sludge/noise metal crudissimo e che non lascia spazio alla redenzione. Il disco è uscito tramite la label italiana Brucia Records il 21 dicembre 2020 in CD/digital.
Nonostante l’oscurità che li permea, i LaColpa godono di una razionalità che potrebbe risultare inaspettata, specialmente da un’ultima release così viscerale: difatti un elemento che si riscontra subito dalle prime battute di Post Tenebras Lux è l’equilibrio trovato nel far convivere, in sinergia, le duali fondamenta su cui si sorregge l’ espressione ed estetica della band, ovvero, da una parte, l’ineluttabile sludge/doom metal (dalle marcatissime tinte black, più per intenzione che per stilemi), e dall’altra la psicotica componente noise/drone. Quest’ultima non vuole essere solamente un supporto per i restanti elementi compositivi, piuttosto prende pienamente parte all’invenzione compositiva, in un equilibrio 50/50 tra gli elementi sintetici, campionati e di sperimentazione e quelli più canonici da band. Già questo basterebbe ad asserire quanto la band proponga una formula autentica, sicuramente unica nella sua peculiare interpretazione. Il calvario ascetico di Post Tenebras Lux si introduce con l’opening “Theosophy Of Pain”, ovvero una concisa, quanto inquietantemente efficace, dichiarazione riguardo la succitata dualità che contraddistingue l’album, aprendo il sipario con un soundscape nevrotico di noise atto a saturare lo spazio sonico, da cui svettano vocals, urla e sussurri di sofferenza che mettono ben in chiaro quale sarà l’andamento del disco. Difatti, concettualmente, questa release dei LaColpa, ricalca il tema della filosofia del dolore profondamente radicata nella condizione umana, con un focus teologico sull’effimera e disumana esaltazione della sofferenza e del martirio da parte delle religioni. Successivamente quindi il secondo brano “Black Opal” espone senza remore l’altra faccia della band, ovvero quella dominata da un abissale sludge/doom metal che attinge dal meglio del genere internazionale, da un lato, reindirizzando alla lezione americana di leviatani del segmento quali Fister o Primitive Man (a quest’ultimi specialmente nelle sezioni più dissonanti), e dall’altro, sul fronte europeo, facendo riferimento ad act come Thaw o Throane, specialmente nei momenti sperimentali più caotici, o ai primi Bongripper, in quanto a dilatazioni estreme ed asfissianti. Ogni brano in scaletta non manca quindi di rimarcare questa equilibrata coesistenza tra le due parti, come viene esplicato subito dalla stessa “Black Opal”, nella quale gli impietosi riff ed il drumming marziale, circa a metà brano, mutano formalmente in texture e pad, ad opera sia della stessa chitarra che dei synth. Qui l’elemento ritmico del drumming viene negato, scomponendo quest’ultimo, così come le vocals, in cellule sintattiche che si muovono e si esprimono con indipendenza, comunque restando aderenti al resto del discorso compositivo anche in queste fasi. Proprio in questi momenti si evincono maggiormente le capacità del vocalist Mario Olivieri che, metamorfico quanto il contenuto strumentale, si serve di una abbondante palette di suggestioni vocali che, a seconda della necessità espressiva di quel dato istante, si muovono con agilità tra, sussurri, urla e versi primordiali, spoken words e una interpretazione personale del caratteristico scream del black metal, facendolo oltretutto su diversi registri.
A stratificare inquietudine su soggezione vi sono diverse valide idee, tra cui anche l’inserimento di sample/eventi sonori dalle qualità alienanti in brani come, ad esempio, “Martyrdrome” (crocevia sperimentale del disco) e “Welcoming The Agony” che, ognuno con una propria forma, suggeriscono un atmosfera peculiare, non per accompagnare all’ascolto, piuttosto, al contrario, per renderlo ancora più traumatico, quindi intenso. Soluzioni come questa, oltre ad essere di per se brillantemente adoperate, tengono ancora più in alto la soglia dell’attenzione durante l’ascolto (di un disco già inopinabilmente vario), nonché contribuiscono alla sensazione di smarrimento e naufragio emotivo a cui sottopone inevitabilmente Post Tenebras Lux.
Il comparto tecnico dell’album, curato da Dano Batocchio e Paul Beauchamp (oltre che dal mastering di James Plotkin), è di altissimo livello, contribuendo dunque ulteriormente alla magnificazione degli intenti della band che sia per il genere che per la forma con cui viene presentato risultano legati a doppia mandata al livello stesso della produzione, che qui adempie brillantemente ai suoi doveri tecnico/artistici, uno fra tutti l’intelligibilità (dove voluta) degli eterogenei elementi che compongono il linguaggio dei LaColpa in quest’ultima release.
Dunque consiste in un discorso tanto vario quanto autentico quello di Post Tenebras Lux, album che attesta agli alessandrini LaColpa un maturità artistica raggiunta a soli quattro anni dall’inaugurazione della propria discografia, che al momento si compone di due EP e due full length (prolificamente pubblicati quasi con cadenza annuale). Il suddetto disco certamente non è (e non vuole essere) di facile ascolto, richiedendo la concentrazione ed il tempo d’assimilazione che merita, non tanto per ermetismo dell’espressone, quanto per l’abbondante carico di suggestioni e spleen che viene scaraventato addosso all’ascoltatore. Forse avranno contribuito anche i tempi bui in cui è uscito a far raggiungere un trasporto emotivo ed una carica di nichilismo finora inedita nelle precedenti release ma, qualunque sia il motivo, questi cinque musicisti hanno distillato più di 43 minuti di vetriolo musicale, nella forma di un blackened sludge/noise metal dal respiro internazionale, nel quale riecheggia una disillusione ed un pathos che si sommano caoticamente in un abissale compendio di quanto mai autentico dolore.
(Brucia Records, 2020)
1. Theosophy Of Pain
2. Black Opal
3. Martyrdrome
4. Welcoming The Agony
5. Relics