L’eredità dei Dodecahedron è un fardello particolarmente pesante da portarsi sulle spalle. Nascere dalle ceneri di una delle realtà maggiormente in voga nell’underground durante gli ultimi anni significa attirare molte attenzioni sulle proprie attività, e insieme a loro anche curiosità e non poche aspettative. Ma Michel Nienhuis non si è fatto intimorire, ampliando la propria ricerca sonora e non limitandosi a omaggiare il suo vecchio progetto continuando sulle medesime coordinate; con una formazione di tutto rispetto al suo fianco, formata dal chitarrista David Luiten e i due produttori Joris Bonis e Tijnn Verbruggen, è riuscito a guardare oltre. Nascono così gli Autarkh. Il black metal rimane sempre presente anche nella loro proposta, ma qui non assume il ruolo da protagonista assoluto, si lega a inserti elettronici e accenni a numerosi altri stili, sia affini al metal che all’elettronica, creando un’ossatura tanto monolitica quanto sfacciata.
L’impulsiva “Turbulence” ci mette ben poco a presentare le incursioni sonore che caratterizzano l’ascolto, un brano che è solo il precursore di quanto saprà offrire l’album con le successive tracce, dimostrandosi un caleidoscopio sonoro. Alla base di Form In Motion si trovano dei richiami industrial che vengono estremizzati sotto due punti di vista: i riff monolitici tipici dell’extreme metal e una parte ritmica obliqua e coinvolgente che arriva a strizzare l’occhio all’IDM, con nomi quali Aphex Twin, µ-Ziq e realtà simili che si possono associare a questo lavoro. È davvero intrigante la capacità con cui si riescono a combinare peculiarità di stili apparentemente incompatibili, ma nei fatti conformi a ricerche di questo tipo, come mettono in chiaro gli olandesi. Non risulta sorprendente trovare brani dalla chiave puramente elettronica, come la breve “Impasse”, non un semplice intermezzo riempitivo, e altri in cui prevalgono riff taglienti, blast beat e in generale un approccio più aggressivo, quale “Clouded Aura”. In ogni caso l’equilibrio tra le due facce della medaglia non si sbilancia mai, e pezzi come “Introspectrum” e “Lost To Sight” ne sono un esempio.
Parlando delle tematiche trattate, i primi pezzi sono i più oscuri e ci trasportano in una situazione poco confortevole, un caos seguito da una metamorfosi e da dei cambiamenti essenziali per superarlo e ricongiungerci col divino. Un progressivo distaccamento dai tormenti che si potrebbe anche paragrafare all’epilogo della carriera dei Dodechaedron e alla nascita di questo nuovo progetto, che ha permesso a Nienhuis di sviluppare ulteriormente la propria arte, seguendo nuove coordinate che hanno decisamente lasciato il segno.
Giusto il tempo di ambientarsi a questo paesaggio sonoro, quel primo ascolto sì convincente ma allo stesso tempo insufficiente per apprezzarlo al meglio, e ci si rende conto della maturità di questo lavoro. Non la semplice continuazione dei fantastici album firmati Dodecahedron, ma una vera e propria reinterpretazione che parte dallo stile a cui ci aveva abituato quel progetto per arrivare a una visione personale e lungimirante, che sa di novità, una nuova prospettiva del metal estremo. Form In Motion è un disco spinoso, e non tutti potrebbero rimanerne colpiti, ma prende delle posizioni diligentemente, presentando nel migliore dei modi la sonorità degli Autarkh e il loro ingegno. Un debutto da cui si poteva chiedere ben poco di più, davvero ottimo.
(Season of Mist, 2021)
1. Primitive Constructs
2. Turbulence
3. Cyclic Terror
4. Impasse
5. Introspectrum
6. Lost To Sight
7. Metacognition
8. Clouded Aura
9. Alignment
10. Zeit ist nur eine Illusion