I Tomahawk sono senza dubbio uno dei migliori esempi a cui fare riferimento quando si pensa al concetto di “supergruppo”. Creatura nata dalla mente del chitarrista Duane Denison, vede tra le proprie fila personaggi per cui basterebbero i soli curriculum a parlare: Mike Patton alla voce, John Stanier alla batteria e Trevor Dunn al basso, artisti che hanno calcato le scene con band quali The Jesus Lizard, Faith No More, Mr. Bungle, Fantômas, Helmet, Battles.
Tonic Immobility è il quinto album in studio della band, esce nel ventesimo anniversario dell’esordio discografico (Tomahawk, 2001) e dopo il non troppo convincente Oddfellows del 2013. Le tracce di chitarra, basso e batteria sono state registrate e completate circa tre anni fa in vari studi di Nashville, con l’aiuto del co-produttore Paul Allen, come confermato in un’intervista recente di Trevor Dunn nel podcast “The Vinyl Guide”. Come spesso accade nei lavori che coinvolgono Patton, artista dai mille impegni, la finalizzazione del disco attendeva solo la registrazione delle sue parti vocali, cosa avvenuta nel suo studio a San Francisco, presumibilmente nel corso del 2020.
Tonic Immobility è un album 100% Tomahawk. Le sonorità tipiche della band sono riconoscibili già nell’attacco dell’opener “SHHH!” dove il riff in clean e palm muting tipicamente denisoniano a braccetto con il basso pulsante di Dunn, l’inconfondibile timbro vocale di Patton e le ritmiche martellanti di Stanier, impostano da subito coordinate familiari per i fan, così come lo sviluppo successivo del brano nel tipico andamento in tensione e rilascio, alta caratteristica distintiva del suono della band.
Le seguenti “Valentine Shine” e “Predators and Scavengers” sono i pezzi più tirati dell’album, con riff corrosivi e distorti, ritmi duri e precisi e un Patton che squarcia il microfono ma, come nel resto del disco, senza troppe distorsioni (a cui invece frequentemente ricorreva nei primi due album), preferendo spesso cantare in clean, à la Faith No More, aiutato da un mix che esalta molto la voce.
Non che questo sia un male, anzi. “Doomsday Fatigue” abbassa i giri e ci trasporta in atmosfere tipicamente spaghetti-western, immaginario cinematografico sempre presente nelle menti di Patton e Denison e che inevitabilmente rimandano – complice anche l’impronta di Dunn – ad alcuni momenti dei Fantômas di The Director’s Cut. In “Business Casual” è Patton che prende la scena destreggiandosi tra falsetto, passaggi puliti ed altri più graffianti, sempre in clean. In “Tattoo Zero” ritroviamo gli arpeggi metallici tipicamente Jesus Lizard di Denison a fare da tappeto a vocals sognanti che arrivano ad esplodere, insieme alla musica, in improvvise accelerazioni nervose. Un’impalcatura che somiglia molto a quella del gioiello “Capt Midnight” presente in Mit Gas, pur non riuscendo a raggiungere quel livello. “Fatback” è un pezzo quasi tutto in tensione, dove il rilascio è concesso solo nel breve refrain, mentre “Howlie” offre maggiori momenti di respiro. Ci sono invece richiami ad Anonymous nell’eterea “Eureka”, mentre “Sidewinder” sembra essere un parto quasi esclusivamente pattoniano, riuscendo a rimandare contemporaneamente ai Mr. Bungle di California e ai Faith No More dell’ultimo Sol Invictus. “Recoil” inizia come un curioso pezzo pop e catchy per poi inasprirsi nel mezzo e nel finale. Chiude, senza infamia e senza lode, “Dog Eat Dog” (uno dei singoli che hanno anticipato il disco, accompagnato da un video piuttosto cruento).
Seppur spetta al giudizio insindacabile del tempo stabilirlo, Tonic Immobility manca forse di pezzi forti, quelli che viene voglia di riascoltare spesso e che erano presenti sia nell’esordio che in Mit Gas. Ma con certezza possiamo comunque già affermare di essere di fronte ad un disco solido, suonato da quattro fuoriclasse che brillano tutti alla stessa maniera, ognuno con il proprio importante contributo. All’ascolto capita a volte di concentrarsi sui riff metallici di Denison, altre volte sulle linee pulsanti di basso di Dunn, la precisione ritmica di Stanier o le diverse sfumature vocali di Patton: in ogni caso il livello è sempre altissimo. Come lo stesso Denison ha dichiarato, l’album è una summa della carriera della band ed effettivamente risulta difficile non concordare. Pertanto, Tonic Immobility potrebbe essere deludente per chi attendeva novità importanti, ma soddisfacente o addirittura esaltante per chi sperava in un degno e non troppo dissimile successore di Mit Gas, dopo lo sperimentale Anonymous e il mezzo passo falso di Oddfellows.
Qualunque sia la propria opinione, è un bene che il rock – parola di cui spesso si abusa in modo improprio e di cui è anche difficile tracciarne i confini (ma entro i quali di certo rientrano i Tomahawk) – sia tenuto vivo da band del genere, capaci di tenere alta, molto alta, l’asticella della qualità. Lunga vita ai Tomahawk! Viva i Tomahawk!
(Ipecac Recordings, 2021)
1. SHHH!
2. Valentine Shine
3. Predators And Scavengers
4. Doomsday Fatigue
5. Business Casual
6. Tattoo Zero
7. Fatback
8. Howlie
9. Eureka
10. Sidewinder
11. Recoil
12. Dog Eat Dog