Torniamo a parlare degli Eyehategod anche nel 2021: la storica band sludge di New Orleans ha pubblicato il nuovo album A History of Nomadic Behavior a marzo, ancora una volta per Century Media.
Con la prima traccia dal titolo “Built Beneath the Lies” inizia questo nuovo capitolo per i trentatré anni di vita della band, ma subito dopo il play gli occhi di chi ascolta potrebbero sgranarsi per la novità che la band sludge per eccellenza propone. L’ascoltatore è posto subito davanti ad un bivio, deve scegliere se questo album sarà positivo o no, il riff iniziale si distacca parecchio dal solito modo di fare musica degli EHG, e chi da sempre ha seguito la band, apprezzandone i lavori precedenti, riconoscerebbe un giro di chitarra quasi troppo educato. Ci si potrebbe chiedere il perché non c’è un feedback di chitarra di almeno una decina di secondi prima di far partire il disco, perché non ci sono urla strazianti che portano quiete a tutti gli innamorati di questi abusi sonori, o peggio ancora, perché l’album non inizi con lo stesso identico riff di “Blank” dell’album Take As Needed For Pain.
Probabilmente perché dal pezzo “Blank” sono trascorsi ben ventitré anni, era il 1993, e forse gli EHG hanno sentito l’esigenza di non riproporre un album che suoni esattamente come i precedenti. Che la comitiva di Jimmy Bower e amici non sia una band super produttiva, i full length pubblicati in più di tre decenni sono sei, più due compilation, un live studio ed immancabili split per ribadire che il loro legame con l’underground è vero quanto l’abuso di droghe che ha accompagnato la band per un lungo periodo di vita.
Nella loro discografia hanno deliziato i fan dello sludge con riff tipici del genere, rendendo gli EHG una vera istituzione, arrivando poi ad ere più melodiche (qualcuno sorriderà leggendo “melodia” associata agli EHG), si pensi a Southern Discomfort, per poi ritornare a suonare tempi ritmatissimi con sfuriate punk che rasentano la cacofonia, andando anche per questo a caratterizzare l’intero sound della band emersa dalle paludi di New Orleans. Ma come per tutti i loro lavori, lentamente si sono distaccati da alcune idee compositive per sottolinearne altre già testate, ma non troppo utilizzate, ed infine arrivare a sperimentare qualcosa di nuovo non ancora esplorato.
E’ qui la chiave di lettura diquesto album, fermandosi al primo ascolto si potrebbero perdere sfaccettature e dettagli che meritano attenzione, anche nell’ostentare soluzioni blues che poco si legano fra di loro, ma c’è comunque da riconoscere il tentativo di una band ben cosciente della difficoltà di innovarsi custodendo allo stesso tempo un sound ed una visione di musica che lascia poca manovra di azione. Gli EHG sono oggettivamente incastonati all’interno di un genere musicale che può risultare ripetitivo nel momento in cui non è composto, immaginato, ed eseguito, in un modo genuino ed autentico, è da qui il filone di gruppi che scimmiottano i loro riff, che riproponendo musica sostanzialmente identica a loro e fra di loro, hanno alle volte inflazionato questo filone musicale. Gli EHG hanno osato, scardinandosi dai precedenti lavori, ma allo stesso tempo tenendo fede a quello che è il loro tipico modo di approcciarsi violentemente alla musica, rallentando allo sfinimento quando serve, ma anche incalzando tempi frenetici che, nella loro dimensione più attiva, cioè i concerti dal vivo, regaleranno ancora una volta delle esperienze uniche. Alcuni dei brani presenti nell’album sono stati già testati dal vivo, quindi anche se il lavoro è datato 2021, nasce nella composizione dalla fine del 2018, e con questo capiamo che gli EHG rimangono fedeli alla cultura del vivere lentamente.
Una pecca di sicuro sono i suoni: comparando History of Nomadic Behavior con l’album precedente, intitolato Eyehategod e pubblicato sette anni fa, si nota un calo di attenzione per la produzione riguardo ad un ascolto globale che appare meno unito fra i vari strumenti, un eccesso di bassi che cozza con chitarre che hanno invece tagli troppi alti, complice anche un suono che risulta eccessivamente zanzaroso. Non sembra una scelta stilistica ma semplicemente un lavoro qualitativamente peggiore rispetto alle strade già percorse. A questo si aggiunge anche, e questo è un paradosso, una migliore performance della voce di Mike Williams, è diventato davvero bravo. Venuto meno il marciume che si vorrebbe sempre ascoltare da una band come loro, ci troviamo davanti a un cantante che è oggettivamente più padrone della sua voce, me lo smalto dell’attitudine confusa e disperata è stato sacrificato per un maggiore controllo delle sue strilla.
Arrivando alla conclusione, ci sono dodici tracce per farsi un’idea su questo loro ultimo lavoro, possono piacere o non piacere alcune idee compositive, la scelta dei suoni, o la proposta di una voce più misurata e meno caotica, ma c’è da tenere presente che una band storica come gli Eyehategod riesce ancora a trasmettere la loro carica di sempre. Viaggiando all’interno di ogni pezzo c’è modo di riascoltare gli Eyehategod che hanno rapito i fan dello sludge che lega con l’hardcore raffinatamente gretto, ed anche una nuova anima che senza troppi giri di parole si fa spazio nelle loro nuove composizioni. Gli Eyehategod continuano a pestare sui loro strumenti come fanno da più di trent’anni.
(Century Media Records, 2021)
1. Built Beneath the Lies
2. The Outer Banks
3. Fake What’s Yours
4. Three Black Eyes
5. Current Situation
6. High Risk Trigger
7. Anemic Robotic
8. The Day Felt Wrong
9. The Trial of Johnny Cancer
10. Smoker’s Piece
11. Circle of Nerves
12. Every Thing, Every Day