Dietro ad ogni processo compositivo sono soliti celarsi espedienti di varia natura: il riaffiorare di un ricordo, un evento impattante o semplicemente un’urgenza evocativa legata ad una determinata sfera sensoriale. Non di rado anche il ritrovamento di un vecchio oggetto ormai inutilizzato può costituire per un musicista l’incipit verso nuove esplorazioni compositive, ravvivandone un corpus artistico sopito per anni. Da qui il caso di Goats & Distortions 5, nuova uscita per Denovali dei Dictaphone, il cui inizio di stesura coincide con la riscoperta da parte del mastermind del gruppo Oliver Doerell di un vecchio registratore a nastri ritrovato nella soffitta del suo appartamento berlinese e divenuto sorgente di nuovi suoni.
Nel nuovo lavoro del trio belga/tedesco ritroviamo la moltitudine di contaminazioni che da sempre contraddistingue la produzione artistica di una band eclettica come poche altre nel panorama jazz avanguardistico che giunge oggi alla sua quinta fatica discografica. Ad impostare il discorso di Goats & Distortions 5 ci pensa subito “O.” opener dell’album che circoscrive il raggio d’azione dell’opera evocando sapientemente atmosfere metropolitane lugubri e fumose grazie al commento malinconico del clarinetto di Roger Döring, fiatista per diletto ed attore di professione, che sembra strisciare tra note di corde pizzicate in maniera elusiva. Eleganza e maestria si intrecciano con sorprendente semplicità, fondendo in maniera efficace e naturale sonorità dark-jazz e componenti minimal-glitch. Ritmi sincopati incorniciano delicatamente le linee arabeggianti del clarinetto di Döring in “Island 92”, primo singolo che ha anticipato l’uscita del disco, i cui vuoti vengono inframezzati da una base beat-electro che si unisce alle morbide ed eteree note del violino di Alex Stolze, fornendo come risultato un’alchimia tra le parti praticamente perfetta. Tutto in Goats & Distortions 5 poggia su fragili equilibri di elementi sonori provenienti dalle più disparate aree geografiche che giocano a rincorrersi tra di loro mutando costantemente il loro stato materiale e delineando un inquietante sentimento di sospensione ed attesa. Efficace in questo senso l’utilizzo del registratore ritrovato, che in brani come “Tempête et Stress” genera uno stralunato loop che si perde in un’ovattata dilatazione dronica fino ad impastare fiati e contrabbasso in una composizione astratta di tape-music indistinto e spiazzante.
C’è un certo privitivismo in Goats & Distortions 5, che poi è il vero punto di forza dell’intero lavoro, in grado di trasportare l’ascoltatore al centro di una dimensione in cui impercettibili alterazioni di stati d’animo tendono a dilatarsi e restringersi a seconda dell’impiego degli strumenti utilizzati. Un privitivismo la cui funzione è quella di ricercare una linearità corale delle parti che smorzi sul nascere ogni tentativo di individualismo, nocivo per ogni genere di musica, ancor più se si tratta di jazz. Un album sicuramente ben riuscito, destinato a crescere nel tempo man mano che gli ascolti si fanno più attenti e concentrati.
(Denovali Records, 2021)
1. O.
2. Island 92
3. 808.14.4
4. Goats & Distortions 1
5. Tempête et Stress
6. Il grande silenzio
7. M.
8. Goats & Distortions 2