Il polistrumentista Justin Greaves e il suo super gruppo Crippled Black Phoenix si riprendono le scene con un album notevole ed emotivamente devastante. Il collettivo sperimentale continua la sua lunga marcia dal lontano 2004, ritagliandosi ogni volta un piccolo frammento incantevole, che spiazza di gran lunga ad ogni ascolto. Le sonorità prendono spunto dal doom classico, per poi viaggiare verso tematiche più dolci a tratti post-rock, immerse in un nucleo di suoni oscuri per una metamorfosi suggestiva ben studiata. Il nuovo disco Banefyre è il degno successore dell’emozionante Ellengæst del 2020; nella produzione vengono inseriti nuovi suoni, più rocciosi e pesanti, inoltre ci sono degli ospiti alle voci: oltre alla conferma di Belinda Kordic come voce principale, troviamo anche la trombettista e pianista Helen Stanley e il chitarrista aggiuntivo Andy Taylor a dare più corpo e forma al suono. Nonostante l’album presenti dei momenti spigolosi, si colora anche di attimi tranquilli, esplorando il tema principale della diversità nella società, per un’opera teatrale completa e calorosa. Il disco viene distribuito dall’etichetta francese Season of Mist.
L’apertura inquietante di “Intro/Incantation For The Different” trasmette un formicolio sulla pelle, un segnale dissonante e subliminale, come a voler narrare un poema misterioso, avvolto nell’oscurità. Segue la melodia corale in “Wyches And Basterdz”, una portentosa composizione che esplora mondi sotterranei; nella sua dolce linea vocale si culla un vibrato orecchiabile, fino a splendere di bellezza nel ritornello distorto e corposo. “Ghostland” è un brano interessante cantato in svedese, nel quale l’atmosfera cupa si evolve verso canti apocalittici, con un ossessione drammatica, sospesa in un tempo caotico e il delirio infinito che porta all’inferno. Un’autentica caccia alla volpe, invece, si manifesta nella cavalcata armonica di “The Reckoning”, un inno intramontabile sulla ricerca del lusso e della fratellanza. Qui troviamo il primo cantante ospite, che si incastra alle percussioni e al bridge epico. “Bonefire” è un’astuta osservazione nell’idea di stravolgere le cose, ed è un chiaro riferimento ai disonesti, senza scrupoli. Nell’aria vola una piuma leggera e innocente, lasciando quel timbro shoegaze triste, uno dei brani migliori del lotto. “Rose Of Jericho” è una traccia lunga, che si impenna nei riff vorticosi e accenna una suite post-rock in stile This Will Destroy You, cullando l’esplosione emozionante verso un trionfo struggente. Nella seconda parte del brano poi l’opera rallenta, fino a spegnersi nel silenzio. Nelle seguenti “Blackout77” e “Down The Rabbit Hole” si fa un uso maggiore di effetti lunari e una sperimentazione esagerata, per una narrativa intensa con un decadimento doom metal, che porta alla violenza. L’infelice emozione di “Everything Is Beautiful But Us” completa un percorso ricercato verso suoni dream pop d’avanguardia, mentre “The Pilgrim” è una traccia sognante, che fa da contrasto alla natura delle chitarre, per una solitudine perduta. Il trittico finale è composto da brani molto lunghi: “I’m OK, Just Not Alright” è senza dubbio la canzone più snervante, che mette quasi angoscia, in stile post-punk; “The Scene Is A False Prophet” conduce, con un pianoforte soffuso e drammatico, alla parte finale del disco, che si chiude con un rumore sordo senza luce in “No Regrets”
La band inglese crea un album immenso, esplorando diversi stati d’animo che alla fine conducono ad un barlume di speranza e gioia. Per non parlare poi della copertina, capolavoro assoluto che ci invita all’interno dell’oscuro luogo onirico confezionato dai Nostri.
(Season of Mist, 2022)
1. Intro/Incantation For The Different
2. Wyches And Basterdz
3. Ghostland
4. The Reckoning
5. Bonefire
6. Rose Of Jericho
7. Blackout77
8. Down The Rabbit Hole
9. Everything Is Beautiful But Us
10. The Pilgrim
11. I’m OK, Just Not Alright
12. The Scene Is A False Prophet
13. No Regrets (Bonus Track)