BOOKWORM è la rubrica dedicata alle letture a cura di Anais Piccoli, Cristian Franchini e Antonio Sechi
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I mostri non esistono. Vampiri, lupi mannari, fantasmi, sono tutte storie che ci raccontiamo per divertirci, non per spaventarci, perché sappiamo che sono solo questo: fantasie. Jade, la protagonista di My Heart is a Chainsaw di Stephen Graham Jones (Gallery/Saga Press, 416 pag.), la pensa diversamente. Vive con un solo genitore in un paesino smorto, non ama la scuola e pensa che gli horror siano molto più che banale intrattenimento; in effetti lei ha intrecciato così saldamente le sue giornate con i fili degli slasher da non riuscire più a districare la realtà dall’immaginazione, e intravede nei cambiamenti in corso nel suo paesello i segni che in tutti gli horror presagiscono l’inizio di un massacro: la sparizione di due turisti nelle gelide acque del lago, maledette dalla morte di quella che si diceva essere una strega; l’avvio di un lussuoso progetto residenziale, che disturberà suoli ritenuti sacri dai nativi; l’arrivo di Lita, una ragazza che incarna tutte le caratteristiche della final girl. Il romanzo non si distingue dalla massa solo perché l’eroina è ben disegnata, ma perché non è un semplice romanzo dell’orrore: è anche un vivace saggio sul cinema slasher, esplorato dall’entusiasta e preparata voce di Jade, che intervalla i capitoli in cui la trama procede prendendo il microfono e spiegando le regole, gli stereotipi e la storia di uno dei sottogeneri più popolari dell’horror. La trovata della fissa di Jade per i film slasher rende memorabile un romanzo che già di suo è un valido horror sui luoghi maledetti, pieno di morti violente che colgono di sorpresa chi legge e che è scritto da un autore che più volte si è dimostrato padrone dell’arte della penna, ma che creando Jade si è superato. Jade è astuta ma disarmata, traumatizzata ma tenace, altruista ma incapace di relazionarsi con gli altri; è fermamente convinta di poter vedere i fili metafilmici che muovono le persone vere come marionette, ma le sue certezze verranno presto smentite da un burattinaio molto più antico e potente dei registi che Jade tanto ammira.
Parlando di burattinai e marionette, una menzione onorevole va fatta a I Segreti del Ventriloquio, un titolo uscito nel 2016 ma portato recentemente in Italia da Edizioni Hypnos, casa editrice indipendente dal notevole catalogo. Si tratta di una raccolta di racconti che può far ritrovare fiducia nell’horror contemporaneo, in cui spesso si cerca di trasmettere la paura puntando sul fattore visivo che non è il punto di forza del romanzo, ma del film.
Sembra che quasi tutti i romanzi pubblicati negli ultimi anni siano solo il punto di partenza per una sceneggiatura; nel panorama della larga diffusione non ci sono più scrittori come Poe e Lovecraft, che non facevano paura descrivendo mostri e squartamenti, ma parlando della Paura stessa: di cosa significa avere paura, non semplicemente di cosa fa spavento. Anche le raccolte di racconti sono un tasto sensibile del mondo dell’editoria, perché nella maggior parte dei casi sembrano un mucchio di pagine scritte di fretta, più o meno bene, legate da un’unica copertina perché nessuno le comprerebbe singolarmente.
Jon Padgett, degno allievo del suo maestro Thomas Ligotti, aggira con agilità entrambe queste spinose questioni con un esordio che è una pregevole prova del fatto che si può essere macabri e misteriosi e impossibili da rendere a livello filmico, e che lega bene tutte le storie con un filo che si rivela a chiunque abbia gli occhi attenti. Oltre al continuo ritorno dell’elemento del ventriloquio, ci sono tanti dettagli che rendono organico (e questa parola strizza l’occhio a chi ha già letto il libro) e tangibile l’universo in cui si svolgono queste sventure, manipolato dalla voce e dalla volontà del Grande Ventriloquo.
Quest’anno (come succede ogni anno, anche più volte) Stephen King ha pubblicato un romanzo che non ha bisogno di presentazioni e pubblicità, che invece si merita un autore che chiaramente ha imparato molto dallo zio Steve e che è arrivato a tanto così dal vincere il Bram Stoker Award, che è andato senza grandi sorprese a My Heart is a Chainsaw. Si tratta di Gus Moreno che, pescando un po’ da Mucchio d’Ossa, un po’ da Cujo e un po’ dalla paranoia diffusa tra chi non si fida di Alexa e simili, ha creato This Thing Between Us (MCD, 272 pag.), breve ma intenso volume che fa girare la testa, venire gli incubi e anche un po’ piangere.
La “cosa tra di noi” del titolo è Itza, uno smart speaker che dal momento in cui esce dalla scatola rende sempre più strana la vita della coppia brevemente composta da Thiago e Vera – brevemente perché poco dopo l’arrivo di Itza, Vera muore, uccisa in un violento incidente in metropolitana. Thiago è però convinto che non sia stato davvero un incidente, e attraversando dimensioni infestate da umani e cani plasmati dalle più insondabili crudeltà, giungerà ad una rivelazione inimmaginabile.
La prosa di Moreno è poetica e profonda quando affronta il tema del matrimonio e della vedovanza tanto quanto è ipnotica ed imprevedibile nelle scene cruente, sanguinose e nauseanti in cui si affollano tutti gli orrori di questa storia difficile da incasellare: non è una storia di mostri o spettri, c’è tanto King quanto c’è Lovecraft, eppure non risulta derivato o scopiazzato, non sembra neppure un omaggio benché le influenze di questi grandi autori siano evidenti, pregio che rende il romanzo fresco e sorprendente.
Una gran bella sorpresa è Bunny di Mona Awad (Fandango Libri, 352 pag.), soprattutto per chi abbia già apprezzato titoli come Picnic a Hanging Rock di Joan Lindsay o If We Were Villains di M. L. Rio, ambientati in incantevoli collegi in cui avvengono sparizioni e omicidi su cui indagare; in questo romanzo non serve avviare indagini, perché si sa benissimo chi brandisce l’accetta: le bellissime, eteree, angoscianti Bunny, cinque ragazze che tra una lezione e un party compiono riti di metamorfosi, trasformando coniglietti in ragazzi che, se non le soddisfano, vengono fatti a pezzi. Per chi ha, o ha avuto, un coniglio da compagnia potrebbe essere sgradevole leggere le scene in cui le loro teste esplodono, ma il magnetismo predatorio di questo libro è inesorabile, ogni dialogo disorienta, ogni paragrafo intrappola, ogni descrizione addenta alla giugulare e non molla la presa finché la preda non si abbandona a questo sensuale, disturbante, inimitabile storia di sette, ossessioni, violenza psicofisica e arte della scrittura.
Nessuno scrive come Mona Awad, che prende in giro e allo stesso tempo padroneggia la prosa sperimentale, ricca di immagini trasognate e similitudini inedite; per lei l’ambientazione collegiale è una tana di serpi, fredda e mortale, in cui è fin troppo semplice cadere e da cui è impossibile fuggire – non diverso da come Leigh Bardugo descrive Yale in La Nona Casa (Mondadori, 420 pag.) trasformandola in una fitta rete di società nascoste dietro le belle facciate di confraternite ufficiali in cui durante il giorno si svolgono tutte le normali attività da Ivy League, ma dove appena cala la notte ci si sbizzarrisce in tutti gli ambiti praticabili della magia, dalla divinazione alla necromanzia.
La protagonista, Alex Stern, è stata accolta a braccia aperte dalla prestigiosa università nonostante sia tutto fuorché una studentessa meritevole perché ha una capacità fuori dall’ordinario: può vedere ed interagire con le anime dei morti. Descritta così può non sembrare niente di che, ma la cura con cui Bardugo ha organizzato il sistema magico e imbastito la storia delle società dietro il velo è sbalorditiva; le scene d’azione, così ardue da rendere vive sulla carta, pulsano e travolgono, accompagnate da dialoghi graffianti pronunciati da personaggi che paiono già pronti per lo schermo. Ogni capitolo sembra un episodio di una serie tv impossibile da mettere in pausa, perché il numero di persone uccise o scomparse da quando Alex è arrivata a Yale cresce sempre di più, e lei non si fermerà finché non avrà scoperto chi è il vero colpevole; i cari vecchi gialli “chi è stato?” potranno essere ormai noiosi, visto uno li hai visti tutti, ma quando c’è di mezzo la magia è molto più divertente investigare. A gennaio è uscita la seconda e ultima parte, Hell Bent, quindi è il momento perfetto per prendere in mano il primo volume ed esplorare le aule e i corridoi di questa oscura accademia.
H.P. Lovecraft (1890-1937), il fondatore della moderna letteratura dell’orrore, che superando i romantici inglesi e Edgar Allan Poe arrivò a dare voce alle più oscure inquietudini del Novecento, è oggetto di culto da decenni e continua a influenzare l’immaginario e la cultura contemporanei nelle loro più varie manifestazioni – cinema, musica, fumetti, giochi di ruolo. Eppure, come molti precursori, non vide riconosciuto il proprio talento nel corso della sua breve vita, che fu quella di un orgoglioso ma timido intellettuale di provincia, di un aristocratico decaduto e senza mezzi, di un nevrotico pieno di complessi: forse un prezzo obbligato da pagare per chi riuscì, in nome della letteratura, a trarre senza remore dal suo inconscio inquieto le più oscure figure della fantasia, destinate a popolare fino al nuovo millennio innumerevoli storie del soprannaturale e della fantascienza. Paradossalmente, proprio colui che si considerava solo un erudito d’altri tempi seppe cogliere, nella cultura americana tra le due guerre, i germi del turbamento che in futuro avrebbe percorso il tanto sospirato (ma tutt’altro che idilliaco) benessere dell’Occidente. Nell’ottantacinquesimo anno dalla sua scomparsa, a maggio 2022, è tornato in libreria Il sogno e l’incubo. Vita e opere di H.P. Lovecraft (Alcatraz Edizioni, 208 pag.), una splendida biografia del Solitario di Providence, precedentemente pubblicata da Tsunami Edizioni nel 2017 e scritta dal geniale Paul Roland. Un testo agile, che traccia un avvincente profilo dell’autore destinato sia ai cultori del mito di Cthulhu che desiderano conoscerne i retroscena sia ai semplici curiosi della sua eccentrica figura, senza trascurare un’accurata disamina della sua opera e del suo pensiero, il cui materialismo nichilista non può che essere una costante provocazione per il disincantato lettore di oggi.
A proposito di Tsunami Edizioni, durante l’anno appena passato (il 2022, n.d.a) si sono susseguite interessanti pubblicazioni. Segnaliamo in particolare Black Mass – la storia dell’Occult Rock (Tsunami Edizioni, 354 pag. illustrate), il nuovo libro di Stefano Cerati. Un viaggio ai confini dell’esoterismo che si focalizza sulla nascita e sul percorso intrapreso dai mostri sacri del genere come Coven, Black Widow, Jacula, Blue Öyster Cult e Black Sabbath. L’essere umano ha sempre saputo che c’è un mondo “oltre” a quello che noi vediamo e percepiamo con i nostri cinque sensi. Di là ci aspettano forze nascoste, spiriti, demoni e forse le risposte ai nostri desideri. Ecco perché la musica diventa un perfetto conduttore oltre le porte della percezione e cerca, attraverso magici rituali, antiche formule e parole dimenticate da tempo, di evocare poteri nascosti. L’occult rock crea l’atmosfera per l’esecuzione di questi rituali, ed è fortemente legato a una moltitudine di pseudo scienze come l’alchimia, la cabala, la necromanzia, la divinazione, la magia o l’occultismo. Sulla scorta di nuove dottrine – dalla teosofia tantrica di Madame Blavatsky, al Thelema di Aleister Crowley, alla Wicca, alla Process Church, fino alla Church of Satan o altri temibili culti come il Misanthropic Luciferian Order – vengono messe in gioco forze nascoste ed evocati demoni, streghe e morti che possano aiutarci a vivere meglio la vita “da questa parte”. Il miglior occult rock è la musica che facilita il passaggio tra queste dimensioni, quella fisica e terreste e quella spirituale e celeste, e prepara l’essere umano a migliorare la conoscenza di sé. Un grande viaggio attraverso ciò che è e ciò che potrebbe essere.
The Blood and the Sweat – La storia dei Sick of It All e dei fratelli Koller (Tsunami Edizioni, 324 pag.) è una biografia scritta da Lou Koller, Pete Koller e Howie Abrams. La storia senza compromessi dei fratelli Koller e dei Sick Of It All, una delle band più amate e rappresentative della scena hardcore di New York, che dal 1986 incendia senza sosta i palchi di tutto il mondo. I fratelli Koller vengono da Flushing, un quartiere del Queens, a New York, e per loro l’hardcore non è mai stato solo musica ma un vero e proprio stile di vita. Sin dal loro primo incontro con il punk, i due si sono dedicati anima e corpo al suo sottogenere più ruvido e incazzato, mettendo in piedi una delle band che è presto diventata sinonimo del più puro NYHC: i Sick Of It All. Anche se vivere a New York negli anni Ottanta non era uno scherzo, la loro non è una storia di famiglie disagiate o di vita criminale di strada. Ma ciò non toglie che la musica che hanno saputo creare sia diventata il veicolo privilegiato di tanti ragazzi per esprimere disagio, rabbia, frustrazione e oppressione, e venga ascoltata e vissuta ancora oggi in ogni parte del mondo. The Blood and the Sweat racconta senza peli sulla lingua la vita e la musica di due persone appassionate e caparbie, due fratelli che sono rimasti sempre legati e non hanno mai mollato il colpo, e della determinazione necessaria a credere nei propri sogni e portarli avanti nonostante tutto, a dispetto delle difficoltà economiche e di qualsiasi ostacolo ci si trovi di fronte. In una parola: hardcore.
Dulcis in fundo, le porte dell’inferno. Traghettandoci su tinte decisamente più torbide e nere, Mariano Fontaine e Cristiano Mastrangeli ci accompagnano per tutti e 9 i gironi infernali di Infernum Metallum – Storie e leggende del black metal in Italia (Tsunami Edizioni, 390 pag. illustrate). Definito da molti come “musica del demonio” o “malvagità in musica”, il black metal non è un semplice sottogenere del variegato sottobosco heavy metal, quanto l’ultima vera rivoluzione ad aver scosso le fondamenta della musica e della sottocultura rock dai primi anni Novanta a oggi – per quanto le sue radici si spingano sino al decennio precedente. Anche nella nostra penisola il fenomeno black metal ha preso piede sin dagli inizi, prima facendo nascere poche e sparute (ma tremendamente influenti) band e poi, con il passare degli anni, dando vita a una notevole schiera di gruppi che, ognuno a proprio modo, hanno contribuito a tenere vivo il culto della fiamma nera, trovando spesso soluzioni personali e inedite per declinare quello stile e le tematiche a esso affini. Basato su un accurato lavoro di ricerca e selezione e su numerose interviste inedite ai protagonisti, Infernum Metallum propone un esaustivo spaccato dell’evoluzione del black metal in Italia attraverso l’analisi di quasi un centinaio di band, le più rilevanti e significative, lungo un arco temporale che va dagli anni Ottanta sino all’alba del nuovo millennio. Oltre a ciò, a contorno dell’opera non mancano spunti teologici, storici e persino sociologici che aiutano a contestualizzare ulteriormente lo scenario in cui si è sviluppata la scena black metal italiana. Un libro davvero ben curato che concede un’idea ben precisa sul tema preso in esame e una molto gradita bibliografia fatta di link diretti a webzine e fonti di vario tipo. Consigliatissimo a tutti i seguaci della nera fiamma, ma anche ai curiosi.
Sì, non è la migliore delle copertine questa, ma come si dice: non si giudica un libro dalla copertina. Ed è proprio questo il caso di dirlo. Geniale (Feltrinelli, 256 pag.) è un libro che racconta una storia, la storia di una vita passata crescendo e imparando da un maestro, un mentore, non certo un guru. Curiosamente questo libro potrebbe essere interpretato come una sorta di autobiografia, in quanto Polidoro ci racconta la sua esperienza come allievo del grande James Randi: un uomo come ce ne vorrebbero sempre di più al mondo, soprattutto in questi tempi difficili in cui l’informazione (che sia vera o falsa) passa senza filtri e arriva alle persone meno avvezze al dubbio e al saper comprendere un testo, rendendole vittime inconsapevoli di disinformazione. Allo stesso tempo però questo è anche un bellissimo resoconto della vita di James Randi, raccontato appunto da chi ha vissuto a stretto contatto con lui e siccome il buon Polidoro non si fa mancare nulla, Geniale può essere interpretato come un manuale di auto aiuto in quanto i capitoli sono portati al lettore sotto forma di lezioni, utilissime peraltro perché vanno a scoraggiare quei comportamenti che rendono degli individui con passioni grandi o piccole limitati, restii per paura o per dubbio a fare quel passo avanti per rendere una passione qualcosa di più del classico hobby che ci estrania da un mondo e da una realtà che ci annoiano. Il dott. Polidoro qui mette a disposizione idee, suggestioni e consigli che possono migliorare la vita di chiunque con semplicità. Non si tratta del libro di un personaggio che insegna i trucchi per fare soldi o per ammaliare possibili partner (che sono ovviamente delle truffe su carta), ma una guida per concentrarsi su sé stessi e cercare di concretizzare una buona idea quando la si ha. Una lettura consigliata a chiunque in quanto scritta senza complicazioni di sorta, senza le cosiddette “supercazzole”.