Se qualcuno in Romagna avesse avuto molta nostalgia di live shows death metal, probabilmente negli ultimi tempi avrà avuto modo di farsela passare. Senza considerare gli Ulcerate, che di fatto sono un gruppo un po’ atipico per il deathster medio, tra la fine di Febbraio e l’inizio di Marzo sono passati in Emilia Romagna due colossi dell’old school death metal americano come Cannibal Corpse e Suffocation, accompagnati da una serie di bands di tutto rispetto. Abbiamo già parlato del notevole Full Of Hate di Bologna; ci ritroviamo qui a parlare invece dell’interessante tour europeo che i Suffocation hanno intrapreso insieme agli ottimi Cattle Decapitation e le ex promesse Blood Red Throne. Ci dovevano essere pure i mediocri polacchi Hate, ma non abbiamo sentito molto la loro mancanza: ci sono state altre assenze ben più clamorose in serata…
Live report a cura di Ico & Dave
Suffocation + Cattle Decapitation + Blood Red Throne + Adimiron + Sephirah
Boulevard, Misano Adriatico
10 / 03 / 2012
SEPHIRAH – a cura di Dave
Dediti ad un death/black sinfonico, i bresciani Sephirah scaldano il pubblico per mezz’ora con tutti i loro mezzi, sebbene sia arduo attirare l’attenzione su di sé alle 20.30, mentre i pochi presenti a quell’ora sono più impegnati a far quattro chiacchere con Terrance Hobbs (chitarrista dei Suffocation), che si aggira per il Boulevard di Misano Adriatico a chiedere in giro “da accendere”. Il tempo a disposizione del five-piece bresciano passa velocemente e la loro performance, seppur valida, scorre via piuttosto anonima. Il comparto sonoro non è amalgamato alla perfezione, ed in alcuni tratti il sound della band esce confuso, a scapito della godibilità della band stessa. Abili in sede live, ma da rivedere in un contesto più favorevole, con un pubblico più “acceso” e suoni all’altezza.
ADIMIRON – a cura di Dave
Decisamente fuori posto e fuori contesto i romani Adimiron, qui intenti a proporre l’ultima fatica in studio, dal titolo K2, col quale la band celebra i dieci anni di attività. Il “fuori posto” di cui sopra non ha nulla a che vedere con le capacità tecniche della band, che sono impeccabili, ma col genere trattato: con il loro metal cibernetico e cadenzato, denso di potentissime ritmiche à la Meshuggah, il combo capitolino non ha nulla a che vedere con il bill di stampo death old school / death-grind della serata. Il risultato di tutto ciò si nota nel pubblico freddo e distante, nonostante la performance maiuscola della band, capace di ergere un muro sonoro non indifferente. La band ha un unico difetto, almeno per chi scrive, ossia l’ispirazione tratta dagli stessi Meshuggah; oltre alle assonanze con ritmiche sbilenche e cadenzate, le bordate thrash claustrofobiche ed i chitarroni low-tuned, gli Adimiron mantengono on stage anche una presenza piuttosto simile a quella della band svedese. Il tutto è funzionale allo spettacolo, e la band è decisamente professionale, ma trovare una via più personale darebbe alla band quel che manca per essere perfetta.
BLOOD RED THRONE – a cura di Dave & Ico
Con il solo Død superstite della formazione originale, i Blood Red Throne sfornano un set di brutal death metal ben suonato e ben amalgamato, sebbene la line-up sia stata rinnovata quasi in toto molto recentemente, con un nuovo vocalist, intento a scolarsi qualsiasi cosa gli capiti sotto mano (già prima di salire sul palco), ed un nuovo chitarrista (che tra barba e capelli pare imitare il compianto Dimebag Darrell dei Pantera) a “tenere il palco”, lasciando in ombra il bassista, poco appariscente sebbene autore di una performance brillante. Durante lo show vengono spartiti equamente episodi del nuovo album e dei lavori precedenti, con un pubblico finalmente partecipe, a dar mano forte ad una serata che inizia a prendere colore solo con lo show del combo norvegese. Se si tralasciano alcuni siparietti fin troppo lunghi e per lo più evitabili del biondo, ubriaco frontman, sfocianti spesso nel grottesco, e un affiatamento di gruppo tutt’altro che consolidato, lo show dei Blood Red Throne appare tutto sommato sufficiente, ma se pensiamo agli ottimi giudizi che giravano su di loro fino a poco tempo fa (e al piglio molto coinvolgente che ha il loro old school death metal su disco), possiamo dire di essere soddisfatti solo a metà: buon impatto sonoro, prestazione complessiva discreta, il pubblico gradisce molto, ma non si può dire molto di più.
CATTLE DECAPITATION – a cura di Ico
Con i Cattle Decapitation si inizia davvero a fare sul serio: è evidente, dopo pochi secondi, come con l’inizio del loro show il livello qualitativo della serata aumenti esponenzialmente. Dopo anni di gavetta, e un gran bell’album come l’ultimo The Harvest Floor, non ci dovrebbero essere dubbi sulle potenzialità dei quattro di San Diego, e fa piacere vedere finalmente la band californiana al posto in scaletta che merita, ovvero appena prima dell’headliner (ma solo perché l’headliner è un mostro sacro del death metal), e per lo stesso motivo è bello vedere come buona parte del pubblico dimostri di conoscere abbastanza bene il repertorio della band: un piccolo capolavoro recente come “Regret & The Grave” è stato accolto da una piccola ovazione, e in generale buona parte dei presenti ha esternato entusiasmo durante tutta la setlist dei “vegetarian death-grinders” americani. Travis Ryan s’è dimostrato il classico death metal frontman che, in contrasto con un’immagine da tranquillo “Mr. Bean” un po’ misantropo, sul palco si rende protagonista di una performance rabbiosa e schizofrenica, facendo trasparire un’attitudine malata e un coinvolgimento totale nelle sue liriche incentrate sull’odio per la razza umana, e catalizzando tutta l’attenzione sulla sua figura, a discapito degli altri tre ragazzi che si son limitati a svolgere (bene) il proprio lavoro di musicisti. Da segnalare la presenza in scaletta di due brani nuovi, estratti dall’imminente Monolith Of Inhumanity: ad un primo ascolto, sembra che i Cattle Decapitation continueranno a farci divertire nei prossimi mesi… Lo speriamo vivamente, perché The Harvest Floor è un album che suona ancora freschissimo a tre anni di distanza, e in sede live questi loschi figuri hanno ancora molto da dire.
SUFFOCATION – a cura di Ico
C’è chi dice che, da anni, il bello di uno show dei Suffocation stia nella “piacevole prevedibilità” dello stesso. Per qualcuno questo potrebbe essere un difetto, ma la maggior parte degli amanti del death metal sa che, per quanto tu possa sapere cosa aspettarti, la band di Frank Mullen e soci sarà sempre capace di annichilirti e spazzarti via, grazie all’esperienza e al carisma accumulati in anni di militanza ai vertici della scena metal mondiale. E dunque, pur avendo ancora vivo nella mente il ricordo dell’ultima esibizione romagnola dei Suffocation, invero non troppo lontana nel tempo, eravamo ben contenti di poter rivedere lo stesso devastante show… Se non fosse che questa volta ci aspettava una band ben diversa dai “soliti” Suffocation. Buona parte dei presenti probabilmente sapeva che lo storico batterista Mike Smith ha abbandonato pochi mesi fa il gruppo, ma molte meno erano le persone al corrente del fatto che il mitico singer Frank Mullen ha dovuto saltare buona parte del tour per tornare in America, e che il suo posto è stato temporaneamente preso da Bill Robinson dei Decrepit Birth. Queste novità, invece di farci storcere il naso, ci hanno in realtà incuriosito, e possiamo dire senza alcun dubbio che i Suffocation hanno dimostrato di saper fare una gran figura anche nelle difficoltà. Pensavamo, per sentito dire e per considerazioni personali derivanti dalla band d’origine, che il barbuto Robinson fosse un frontman piuttosto freddo, e invece il buon Bill s’è dimostrato un discreto animale da palco, simpatico (per esempio quando, indicando i suoi chilometrici rasta, ha fatto notare di non essere il solito “bald guy”), vocalmente dotato, emotivamente “in palla” (si è pure lanciato in uno stage diving!) e umile, negli ovvi e doverosi riferimenti al grande assente. Certo, Frank Mullen e la sua “manina” sono un’altra cosa, ma siamo rimasti molto soddisfatti della prestazione di questa riserva d’eccezione e del suo stile molto poco “old school” ma comunque molto graffiante e coinvolgente. Poco da dire su Terence Hobbs e soci, chiaramente impeccabili, e sul degno sostituto di Mike Smith, l’ex Malevolent Creation e Incantation (e pure Suffocation, ai tempi di Despite The Sun) Dave Culross, non certo un ragazzino (vedere alla voce “Dismember senza Fred Estby”). Non c’è bisogno di dilungarsi troppo neppure sulla scaletta, che, manco a dirlo, contempla pochissimi pezzi nuovi: tanti classici estratti da Effigy Of The Forgotten e compagnia, per la gioia di tutti (o c’è qualcuno che preferisce “Blood Oath” ad una “Pierced From Within”?).
Questa volta i Suffocation hanno provato davvero a sorprenderci, e in piccola parte ci sono anche riusciti, portandoci per una volta un’interessante novità, ma alla fine la Storia è stata più forte di ogni cosa: sentire dei mostri sacri della musica suonare dei capolavori assoluti del death metal è qualcosa che, per nostra fortuna, non ha prezzo, e finché i Suffocation manterranno intatta la classe che consente loro di restare ai vertici della Storia della musica, non ce ne andremo mai via insoddisfatti da un loro concerto, garantito. Immortali.