La carriera del polistrumentista canadese Paulus Kressman è facilmente descrivibile in due parole: death e black. Difatti per oltre trent’anni il Nostro si è speso con innumerevoli band, tutte devote alla musica estrema, arrivando anche a suonare live la batteria per i mostri sacri Incantation. Approfondire gli ascolti con tutta la sua produzione passata sarebbe stata un’impresa quasi titanica – parliamo di più di venti uscite, tra album, EP e demotape – ma soprattutto inutile dato che con questo omonimo album tutto cambia. Smesso le vesti e le armi del terrorista musicale Kressman decide di prediligere l’intimità, scrivendo un lotto di canzoni che pescano a piene mani nell’ampio bacino del folk. Che sia rock, che sia metal, poco importa. Tutto il disco è una sorta di mantra, ogni singola traccia è parte di un disegno più grande, piccoli ingranaggi di un meccanismo emozionale che, ascolto dopo ascolto, entra sotto pelle, lubrifica le arterie, rinfresca l’anima.
Se la prima volta che ho schiacciato il tasto “play” la sensazione di ripetitività è stata immediata, nelle successive sessioni di ascolto, direi anche di approfondimento, questa patina è stata detersa dalla bontà di una scrittura delicata, che tocca le corde più profonde. Brani che vibrano di tribalismi, nenie che mitigano agitazioni interiori mai definitivamente sopite, c’è un sapore di antico, di notturno, di selvatico, e qui la matrice black metal – che è, nella sua filosofia, quanto di più vicino al folk – esce fuori con tutta la sua potenza. Ovviamente si parla di una potenza che non necessita di volumi altissimi, di chitarre perennemente in lotta tra loro, di una batteria indemoniata. C’è il freddo della Fiamma Nera, ci sono persone attorno ad un falò, forse l’ultimo, mentre il saggio continua a salmodiare di mondi persi nel buio della notte. Inutile citare i singoli brani: onestamente li trovo tutti sullo stesso piano, è il disco nella sua interezza a spiccare, un raggio di sole che scioglie la brina della mattina. UnderWorld è un lavoro basato sulla semplicità, su melodie che seducono, che parlano una lingua nota, quella delle emozioni; il folk che parlotta amabilmente con la musica sacra, donando alle composizioni un’aura particolare, quasi “divina”.
Un album molto bello, una livella che mette tutto in equilibrio.
(I, Voidhanger Records, 2024)
1. UnderWorld
2. Presence
3. Dagda
4. Open Up The Gate
5. Spiritualis Architectus
6. The Living Grave
7. And To Each… A Lake Of Fire
8. Into The Pyre
9. The Fire In My Heart
10. UnderWorld (Reprisal)