Il 2024 si conferma un anno straordinario per il post-rock, con una quantità di uscite degne di nota che hanno saputo soddisfare anche i palati più esigenti. E proprio quando sembrava impossibile alzare ulteriormente l’asticella di un’annata incredibile, ecco i Pray For Sound ad aggiungere un importantissimo tassello, di quelli che spingeranno molti appassionati a riconsiderare le proprie classifiche di fine anno. Nightswimming, uscito il 13 dicembre per dunk!records e A Thousand Arms, è a tutti gli effetti il quinto album del quintetto di Boston, se si escludono Dreamixer – disco di remix del loro debutto – e l’EP di b-sides legato a Waves, ultimo full length del 2019. Con questo nuovo e attesissimo lavoro, i Pray For Sound non si limitano a riaffermarsi, ma dimostrano davvero come la loro visione continui a evolversi, di fatto rendendoli uno dei punti di riferimento più solidi e creativi della scena (e il recente tour in Cina ne conferma l’impatto a livello internazionale).
L’album si apre con l’adrenalinica “Recleague”, una specie di gigantesco manifesto sonoro che si erge su un tappeto chitarristico intriso di epicità. In effetti già solo in questa traccia è racchiusa tutta l’essenza di Nightswimming: poderosi riff elettrici si intrecciano con synth pulsanti e arpeggiatori, e complice un drumming serrato il risultato è un vortice di energia e freschezza che definisce il carattere del disco dalle prime battute. Il brano si sviluppa su una struttura apparentemente classica, ma è il finale a sorprendere, con l’ingresso di un pianoforte che spezza la tensione, privilegiando quell’intimità e quel senso di beatitudine pacifica che si respirava nelle atmosfere più scarne e ambient di Waiting Room del 2018. Questa chiusura morbida lascia spazio all’imponenza marziale di “Paratrooper”, altro pezzo dalla struttura cangiante e dalla dinamica travolgente: in questo caso i fraseggi fluttuano con leggerezza nei versi, per poi esplodere in massicci riff distorti nei ritornelli, la cui forza mi ha ricordato certi passaggi degli hubris. Anche “Daylight”, pur nella sua brevità, richiama l’anima più ambient dei Pray For Sound di Waiting Room, creando una sorta di filo conduttore all’interno dell’album, che per certi versi sembra una somma di tutte le sfaccettature sonore del catalogo degli americani. In “Reconnector” si percepisce invece una dolcezza più marcata: il brano costruisce un paesaggio sonoro accogliente ed energico, dove le chitarre dipingono atmosfere calorose e positive, simili a quelle del meraviglioso Waves del 2019, disco che ho consumato a forza di ascolti. I Pray For Sound dimostrano ancora una volta la loro abilità nel ridurre il sound all’essenziale quando il pezzo lo richiede, affidando solo a chitarre e sezione ritmica il compito di trasmettere emozioni, alternando in modo molto fluido energia e momenti di morbida delicatezza. E dopo i spiragli di maggiore dolcezza, il sound torna più muscolare, come nella successiva “Alyssa Milano”: qui le chitarre ruggiscono e il basso a tratti si eclissa per lasciare spazio a una robustezza sonora di grande impatto. A metà brano, una sezione in palm muting si incastra con precisione tra riff trascinanti e carichi di slancio, costruendo un crescendo che sembra proprio non volersi fermare. Il drumming, sempre incisivo, accompagna questa scalata sonora fino a un finale travolgente, dove i riff si intrecciano in una spirale che esplode in pura energia, epica e grandiosa. Sempre in odor di epicità si dipana la title-track, “Nightswimming”, che si erge in un’atmosfera piuttosto solenne: la batteria è possente, mentre le chitarre piene di riverbero, poste ai margini del panorama stereo, sembrano descrivere la natura impalpabile dell’acqua: sembra quasi di scorgere tenui raggi lunari che si insinuano con timidezza tra le onde, come trame di luce che si dissolvono nell’oscurità dei fondali marini. La melodia principale, delicata e nostalgica, è al contempo piena di vita e si sposa perfettamente con la splendida copertina dell’album. Negli effetti eterei in chiusura sembra quasi di sentire il canto delle balene, un po’ come avviene nell’ultimo disco dei francesi Maven, già recensito in queste sedi. “Vasa”, altro bellissimo pezzo, introduce un fraseggio malinconico che si muove tra post-rock e ambient, con una chitarra elettrica che intona una melodia francamente irresistibile: in quelle note acute ripetute, non so perché, mi sono sentito davvero capito. È proprio un gran bel brano di post-rock classico, dove l’atmosfera generale viene scombussolata dalle imponenti chitarre distorte che entrano con forza, permettendo ai fraseggi in delay di spiccare il volo indisturbati. Le delicate alternanze tra suoni malinconici più puliti e passaggi più tendenti al metal alla sleepmakeswaves completano un brano in cui coesistono moltissimi stati d’animo diversi, senza alcuna forzatura. “Dorsia” invece è il pezzo più lungo dell’album, e forse anche il più completo: un viaggio di sette minuti che inizia in punta di piedi, con un pianoforte malinconico che traccia note sospese, quasi a voler rallentare il tempo. C’è un che di cinematografico nel modo in cui il brano cresce, con la nostalgia iniziale che lentamente si trasforma in qualcosa di sempre più imponente. Ben presto, il paesaggio sonoro si trasforma: le chitarre si fanno più grandi e distorte, la batteria incalza e spinge il tutto verso un mood trionfale e maestoso; ma proprio quando questa tensione sembra pronta a esplodere torna protagonista la malinconia serena del pianoforte. Le sue note, delicate e sommesse, affiorano come un filo di luce in penombra, riportando per un attimo la calma fragile dell’inizio: le eteree note di chitarra contribuiscono a dipingere un’atmosfera intima e sospesa. Per cui quando l’impeto trionfale riemerge, lo fa con un’intensità emotiva ancora più dirompente: la melodia dell’elettrica si fa ipnotica, disegnando cerchi concentrici che si espandono in territori hard rock, crescendo senza sosta fino a deflagrare in un uragano musicale. Un’apoteosi che lascia senza fiato, e che si dissolve lentamente nell’ultimo brano del disco, “The Ballad of Mike Mill”. Qui il tono cambia: il pezzo, essenziale nella struttura e dagli umori più nostalgici, si adagia su riff e accordi semplici, ma capaci di toccare corde profonde. Una dolcezza disarmante che chiude il disco su una nota di serena introspezione, in una specie di pacifica resa che accoglie e consola.
Con Nightswimming, il quintetto di Boston ha dato alla luce un lavoro che bilancia potenza ed emozione con grandissima naturalezza, dimostrando una padronanza del linguaggio musicale che li conferma come assoluti protagonisti della scena post-rock. Ogni brano brilla senza mai risultare ripetitivo: la produzione cristallina enfatizza sia l’energia prorompente che i momenti più intimi, creando un equilibrio perfetto tra epicità cinematografica, riflessione nostalgica e pura gioia. Nightswimming non si limita a emozionare; è un album che sa anche divertire, regalando una varietà di atmosfere che trasmettono vitalità e dolcezza, facendo sorridere persino nei passaggi più malinconici e sospesi, che spesso si disvelano dopo momenti più energici. È come se i Pray For Sound avessero riversato in questo lavoro il meglio di ciò che sono, e il risultato è un album davvero bello, che brilla per completezza e ispirazione, e che soprattutto non stanca mai.
(dunk!records, A Thousand Arms, 2024)
1. Recleague
2. Paratrooper
3. Daylight
4. Reconnector
5. Alyssa Milano
6. Nightswimming
7. Vasa
8. Dorsia
9. The Ballad of Mike Mill8.5