“Tre album, tre centri. Il futuro è adesso.” Con questa frase chiudevo la mia recensione di Duality, terzo album in studio per i Defacement che ora, a distanza di un anno, tornano a elargirci la loro musica che è sempre in/un viaggio. Un po’ come loro stessi: due libici, un italiano e un olandese, che da Utrecht, vecchia base operativa dei Nostri, ha visto in questi mesi il loro sparpagliarsi per l’Europa. Onestamente non mi aspettavo un loro ritorno discografico in così poco tempo. Quando mi è arrivato il promo ho avuto timore ad ascoltarlo, pensavo fossero dei rimasugli del vecchio album – che sarebbero comunque andati benissimo visto la qualità di Duality – ed invece la band sorprende ancora, la band sorprende sempre. Cambiando leggermente la struttura del disco, con l’alternarsi meno schematico tra strumentali atmosferiche e brani cantati, quello che esce in maniera netta e direi prepotente da Doomed è un sound di nuova concezione. La base di partenza rimane sempre un death/black selvaggio, con dissonanze che tolgono la terra da sotto i piedi, con una batteria, ad opera di Mark Bestia, che è un martello atomico. Su di essa la band ricama trame chitarristiche che prendono la lezione dei Morbid Angel, la accentuano fino a portarla a livelli disumani e quasi impossibili da ascoltare dato il senso di soffocamento che Khalil Azagoth e Tadzio riescono a conferire in ogni fraseggio. Poi c’è lui, la voce del mondo in declino, della fine di tutto: Forsaken Ahmed. Un ansito demoniaco utilizzato come un vero e proprio strumento di tortura. Ma, dicevamo, la band si spinge sempre oltre, non è possibile per i Nostri rimanere ancorati al passato. Sono in costante evoluzione, una mefistofelica metamorfosi senza soluzione di continuità. Doomed sorprende, a tratti suona più leggero dei precedenti; Doomed conferma, la quota malvagità viene comunque tenuta alta, se non altissima.
L’album si apre con “Mournful”, un’intro che abbraccia le atmosfere metropolitane di gruppi come The Body o Divide And Dissolve, con una cappa di inquinamento che ti schiaccia contro l’asfalto, fino a masticarne intere porzioni. Tastiere eteree, voci soffuse, rumori, distorsioni, non si capisce dove possano esser finite le nostre anime. “Portrait” ha un incipit in pieno stile Defacement, con i quattro che marciano spediti verso il baratro. Ecco dicevo, pieno stile Defacement, c’è un filo che unisce i precedenti dischi con quest’ultimo lavoro finché la sorpresa non si manifesta al terzo minuto circa, con quell’apertura melodica alla Cynic, dove la melodia risulta ariosa ma ugualmente disturbante, come ovvio che sia, concedendo un attimo di respiro prima che la band riprenda il suo passo spedito, con un finale che è un’esaltazione del loro songwriting, un caos che riesce a sorprendere, chitarre che hanno nuove modalità per far male e lo fanno, in continuazione. Un ottimo primo brano che vede nella successiva “Unexplainable” un ampliamento, un rapido upgrade del discorso intrapreso con la precedente traccia; pare davvero che i Defacement abbiamo voluto realizzare un lavoro che è sì dannatamente feroce – e come potrebbe essere diversamente? Da sempre fanno del nichilismo il loro credo – ma anche tremendamente prog, nell’accezione più accademica del termine. In quasi nove minuti la band spazia dal suo consueto bordello ragionato a tinte death/black pieno di dissonanze, a continue aperture che lanciano ammiccamenti spudorati dallo shoegaze, all’avantgarde, al jazz e alla fusion, creando un movimento – perché definirla canzone pare davvero troppo semplicistico – che è perfezione allo stato puro. Uno dei picchi del disco. Dopo una doppietta simile, “Forlorn” è l’intermezzo adatto per rifiatare. Qui si nota la differenza con Duality, dove le strumentali facevano da ponte, da biglietto da visita, piccoli spoiler sui drammi incombenti. In una manciata di secondi l’ascoltatore può ristorarsi, recuperare le forze, anche perché poi arriva la violentissima “Worthless”; con questa traccia i Nostri tornano nella loro comfort zone, in quel antro oscuro dove la belva Defacement ha partorito, con sommo dolore, i precedenti lavori. I brevi tratteggi di un death tecnico mai freddo o snob, non vanno ad intaccare l’urgenza bestiale del brano, che rimane il più violento del lotto, con quelle continue sfuriate che sanno di zolfo e oscurità, di corpi lasciati a macerare ai bordi della strada: un pugno in pieno viso, un pugno capace di frantumare ogni barlume di resistenza. Siamo a tre quarti del disco, il quartetto prende ago e filo e crea una sutura tra le due anime del proprio sound, quella di “Unexplainable” con quella di “Worthless”, creando un ibrido dispettoso che gioca per tutta la sua durata tra le varie, praticamente infinite, sfumature. Un brano pieno di contrasti, di strappi, di mani che serrano ferite ugualmente straripanti sangue. Sembra un tentativo di svuotare l’oceano con un colino, diventa tutto così frustrante, logorante, con una sottile vena di piacere sadomasochista. Questo è “Unrecognised”, questi sono loro, questo è il futuro di un anno fa, svezzato, capace di camminare, cacciare, uccidere. Poco prima della chiusura arriva “Clouding”, ultimo intermezzo strumentale, che si destreggia tra atmosfere dilatate, quasi synth rock, come se la band volesse condurci verso altri mondi, e modi, di salvezza. E difatti l’album si chiude con “Absent”, probabilmente il pezzo che non ti aspetti, un brano che sceglie soluzioni più asciutte, crude, senza troppi panegirici, risultando paradossalmente debole rispetto al resto della tracklist – in termini di qualità assoluta – ma ugualmente fisiologico, organico, magmatico.
La band riesce così a mantenere costante lo sguardo verso il punto più lontano, verso l’infinito che è sempre incerto e imprevedibile, diventando un baluardo per la coerenza artistica che spesso vacilla in altre band. I Defacement sono un’entità che prende le distanze da tutto quello che li circonda. Il nichilismo del sound, la concettualità delle liriche, l’approccio doloroso alla vita, la negazione della luce, la polvere post atomica che asciuga le mucose, che rende aridi i polmoni, qui tutto viene portato ad un livello superiore. Un percorso artistico solido, credibile, fluido, oserei dire naturale pur avendo una natura in sé che è, ideologicamente, l’azzeramento verso tutto e tutti. Non ho davvero più parole per descrivere questa band, posso solo ringraziarli per quattro dischi che sono pali conficcati nella schiena. Alle volte, trovarsi pancia a terra, agonizzanti, pare non essere un cazzo male.
(Avantgarde Music, 2025)
1. Mournful
2. Portrait
3. Unexplainable
4. Forlorn
5. Worthless
6. Unrecognised
7. Clouding
8. Absent