Nati nel 2022 a Basilea, i Vígljós sono dediti ad un black metal del tutto particolare, che vuoi per come viene suonato e – soprattutto! – per come viene cantato, riescono a farsi riconoscere in un oceano di gruppi tutti uguali. Ma non è solo per il modo di suonare che i Nostri si fanno notare come una suora sulla neve (perfetto paragone dato che siamo in ambito black metal), ma anche per i temi proposti. I Vígljós, infatti, sono lontani anni luce dai classici temi stupramadonne del 99.9% dei gruppi che suonano black metal, e preferiscono raccontare storie più “naturalistiche”, diciamo così… Occorre però fare un passo indietro, e spiegare la peculiarità di questa band, a partire dal significato del loro nome. In antico norvegese (nonostante loro siano svizzeri), Vígljós significa “luce di una intensità tale in grado di uccidere un uomo”, che di per sé è già interessante, ma anche dal punto visivo sono del tutto particolari: poco avvezzi a farsi vedere in faccia, vestono un saio bianco, e i volti coperti da una specie di cestino di vimini, e si fanno ritrarre solamente in scenari campestri. Ma non finisce qui: in maniera simile, i componenti dei Vígljós hanno deciso di rimanere nell’anonimato, dato che nei credits si indicano semplicemente come L. (voce), J. (batteria) e N. (chitarra)… E se questo non fosse ancora abbastanza a stuzzicarvi la fantasia, allora rincaro la dose: il primo validissimo disco, uscito solo l’anno scorso ed intitolato Tome I: Apidae, è praticamente un concept album il cui tema principale è l’apicoltura (si, avete capito bene, l’apicoltura: siamo passati dal bruciare le chiese a fare il miele). Un anno dopo, i Vígljós pubblicano un nuovo album, intitolato Tome II: Ignis Sacer, il quale tema principale è la Claviceps purpurea, cioè la muffa parassita del grano dalla quale fu sintetizzata per la prima volta l’acido lisergico (LSD), e l’ergotismo, vale a dire la pratica di intossicarsi (in maniera volontaria o no) con la Claviceps per poter vedere i draghi e visitare altri pianeti stando seduti sul divano.
Dal punto di vista musicale, i Vígljós suonano un convincente black metal vecchia scuola, gelido e grim, che ricorda i mostri sacri (Darkthrone e Burzum, ad esempio, ma nel disco nuovo ho sentito anche l’impronta musicale dei seminali Mgła), con suoni che rimandano direttamente a quell’epoca, ma allo stesso tempo ben prodotto, non spesso velocissimo e con molti mid-tempo, e con uno stile vocale particolarmente personale e spesso molto teatrale. Questo discorso vale sia per Tome I: Apidae che per Tome II: Ignis Sacer, ma mentre nel primo album rimango comunque sempre all’interno del recinto black metal, nel secondo i Nostri fanno un passo in più, senza mostrare la paura di voler muoversi verso nuovi orizzonti. Ecco quindi che al di sotto di una concreta base black metal, in Tome II: Ignis Sacer possiamo sentire echi nemmeno troppo lontani di generi diversi che vanno dal punk al rock’n’roll e, ad essere sincero, ci ho sentito dentro anche un po’ di country. Esattamente come Tome I: Apidae, Tome II: Ignis Sacer si apre e si conclude all’insegna dell’elettronica, ma questi saranno gli unici inserti elettronici dell’intero disco. Tutto il resto invece sarà un ispiratissimo black metal, dove la velocità lascerà spesso il passo a soluzioni più disorientanti, ed estremamente ben curato e suonato in maniera egregia. Sono molte le parti toccanti e suggestive che si possono trovare all’interno dell’album, come ad esempio in “The Rot”, dove il lento cadenzare della canzone, intervallato dalle grida disumane di L. e da improvvise accelerazioni che colpiscono come un fulmine a ciel sereno, la rendono particolarmente emozionante. Interessantissima anche la prova vocale di L. nella successiva “Claviceps”, dove cambia pelle innumerevoli volte, e la stessa cosa si può dire per la canzone stessa, dato che ad un certo punto cambia marcia e diventa quasi pezzo di classico rock’n’roll, prima di ritornare sui propri passi. Similarmente, la pazzia vocale di L. spiazza tutti anche nella successiva “Dellusions of Grandeur”. Molto bella anche “Decadency and Degeneration”, che in alcuni punti va a scomodare addirittura il country (come dicevo prima), e che è in grado di lasciare l’ascoltatore piacevolmente spiazzato. Questa, secondo me, è la migliore dell’album, e fa venire voglia di ascoltarla in loop per un giorno intero: canzone veramente bella ed epica, date retta ad un cretino (cit.), ed ascoltatela.
Come avrete capito, questo disco mi è piaciuto veramente tanto, ed è stata una bellissima sorpresa: bravissimi Vígljós, per ora sono due centri su due. Band da tenere d’occhio per il loro altissimo potenziale, e da non perdere anche dal vivo, dato che, a detta loro, i loro live sono uno spettacolo sonoro, visivo ed olfattivo (non chiedete, sono curioso esattamente come voi)…
(Les Acteurs de L’Ombre Productions, 2025)
1. Sowing
2. A Seed of Aberration
3. The Rot
4. Claviceps
5. Dellusions of Grandeur
6. Decadency and Degeneration
7. Harvest
8. Fallow – A New Cycle Begins