
Ogni volta che esce un album nuovo dei Testament io ritrovo la gioia di quando ero bambino e si avvicinava il Natale. Per me la band americana è il meglio che il thrash abbia mai offerto in tutti questi anni: sì, più degli Slayer, più dei Metallica, più dei Megadeth. E ovviamente più degli Anthrax, indegni usurpatori del quarto slot nei Big Four, e davvero non ho mai capito il motivo per cui una band che avrà centrato sì e no tre/quattro dischi in carriera debba avere tutta questa considerazione, mentre Chuck Billy ed Eric Peterson sono stati relegati fuori dai giochi, considerati troppo spesso come dei cugini di terzo grado in visita per le feste comandate. I Testament oggettivamente hanno messo a ferro e fuoco il periodo che va dal 1987 al 1994, con una serie di dischi che rappresentano un monito per tutti: se dovete suonare il thrash, ecco come dovreste farlo. Poi vabbè, Demonic ha un po’ azzoppato il percorso dei Nostri, la svolta death metal – senza averne la giusta propensione – non è piaciuta a molti anche se, forse, con una produzione migliore qualcosa si sarebbe salvato (a me non dispiace il disco, lo ascolto poco sì ma mai dimenticato a prender polvere). Quando uscì The Gathering ci fu una svolta. Un album incredibile, salutato da tutti come un capolavoro indiscusso e indiscutibile e bistrattato dai soliti criticoni che hanno scritto e detto le peggio cose, tipo “eh, con quella formazione è facile scrivere un disco bello” non rendendosi manco conto del plateale autogol concettuale ma tant’è, il villaggio degli scemi si fa sempre più popolato. Dopo questo mostro in musica la band ha transitato in un lungo periodo costellato di album non belli, non brutti; diciamo tranquillamente che la sensazione è di aver ascoltato un unico disco, o quasi, della lunghezza record di undici anni.
Capirete bene che l’attesa spasmodica poteva essere compromessa dopo questo periodo e invece no, ho golosamente ascoltato i due singoli “Infanticide A.I” e “Shadow People”, quest’ultima solo apparentemente troppo lunga, e appena passata la mezzanotte (complice un favorevole turno di notte al lavoro) Para Bellum è stato letteralmente divorato dal sottoscritto. Sono stati giorni intensi, l’album inizialmente mi ha tratto in inganno. Spiego meglio: dopo una decina di ascolti mi sembrava di ritrovarmi – come successo con private music dei Deftones – al cospetto di un album commemorativo, avendo al suo interno tutta una serie di brani che andavano a comporre una carrellata sulle precedenti uscite discografiche. Ma al contrario dei Deftones e della loro ultima fatica in studio, che rimane un meraviglioso greatest hits di inediti, i Testament di Para Bellum hanno smosso le mie viscere con botte di thrash metal onesto, suonato con la giusta violenza, un pizzico di malvagità black metal (qui Eric Peterson tira fuori i suoi Dragonlord con la prima traccia, “For the Love of Pain”, sontuosa mazzata sinfonica e nero pece), un ritrovato gusto per le melodie che rimandano secchi a The Ritual e Low e, signore e signori, un Chuck Billy che sciorina una prestazione super. Questi ragazzi, sessanta primavere, suonano e tirano il culo a migliaia di band di sprovveduti sbarbati che pensano che il thrash sia una cosa semplice. Lo è, come tutta la musica, ma solo se hai la cazzimma e i Testament, anche in virtù di tutte le loro vicissitudini, l’hanno sempre avuta, mai domi, mai secondi a nessuno. Chris Dovas, il batterista, con i suoi 27 anni, un bambino al confronto, offre una prestazione scolastica, senza le acrobazie di Lombardo, di Bostaph, di Hoglan, ricordando la pacca dritta di Louie Clemente; vedendo qualche video, con quel drum kit e i tom posizionati quasi in orizzontale, sono stato colto da un tuffo al cuore: bravo Chris, bravo davvero.
Infine un grosso merito va riconosciuto alla band californiana: a differenza di tantissimi altri gruppi che, passati i cinquant’anni, non capiscono che suonare cattivi con le otto corde (Dream Theater), fare lunghissime suite di quindici minuti dove cinque sono di arpeggi sui coglioni (Iron Maiden), di scrivere album che boh, un colpo al cerchio ed uno alla botte (Metallica, e diciamocela: St. Anger almeno aveva un pregio, aveva una sua identità), non dimostra nulla se non tanta tenerezza e uno spoiler su una imminente demenza senile, i Testament sono sempre stati in bolla. Credibili. Onesti, prima con loro stessi, poi con i fan. Para Bellum è un ottimo disco, che va ascoltato bene perché sa regalare sorprese tra le pieghe di un sound unico, inimitabile, riconoscibile tra mille e più. E tutta questa recensione è stata scritta in modalità diehard fan settata sull’OFF. Giuro, eh.
(Nuclear Blast, 2025)
1. For the Love of Pain
2. Infanticide A.I.
3. Shadow People
4. Meant to Be
5. High Noon
6. Witch Hunt
7. Nature of the Beast
8. Room 117
9. Havana Syndrome
10. Para Bellum


