
Ci sono dischi che giungono a noi quando è il momento giusto. Anche se usciti da qualche mese, sono lì che vagano liberamente, mentre tu sei preso da altro, ché molte volte la vita è una matassa incasinata da altri e non sempre si riesce a venirne a capo.
Ci sono dischi che vivono la propria esistenza, parallelamente alla tua di vita, correndo su velocità differenti e stare in scia diventa un seguirsi a vicenda.
Poi, come detto, accade l’inaspettato, la sorpresa, la meraviglia.
Il disco arriva, ti coglie nel tuo momento migliore, anche a tratti pensi sia il peggiore.
Autunno, una pioggia persistente, un letto di foglie, l’umidità che distrugge le ossa, la depressione e gli sbalzi d’umore, il silenzio della natura, il black metal che flirta con lo shoegaze mentre il post-rock, il punk e la new wave giocano a spiare dietro una siepe.
Ci sono dischi che diventano importanti, che diventano nutrimento, che diventano gratitudine.
Dopo un quarto di secolo la carriera dei Deafheaven giunge al suo apice. Lo dico fin da subito: Lonely People With Power, sesto lavoro per George Clarke e Kenny McCoy (da sempre i leader della band), è il loro album migliore. La vetta di un percorso in armonia con ogni precedente capitolo discografico,un itinerario incessante, che vede anche Infinite Granite – una mosca bianca nella discografia dei ragazzi di San Francisco, una parentesi, un risvolto nemmeno così tanto inaspettato – un tassello atto ad incastrarsi perfettamente; nel 2025 la band californiana è una creatura perfetta, che da mito (ogni singolo album) è diventata mitologia (la discografia estesa). Dopo il precedente lavoro, quell’Infinite Granite che è stato – se vogliamo giocare con delle analogie – quello che Shelter rappresentò per gli Alcest, il timore di una fragorosa deriva si faceva sempre più pressante nel petto degli aficionados del combo americano (nel mentre, gli hater hanno continuato col loro spregevole onanismo da quattro soldi); e questo nonostante quel dischetto fosse semplicemente un quadrante del cosmo Deafheaven. Con quest’ultimo disco la band torna al sound di un tempo, quel black metal colto, lussurioso e lascivo, che non perde occasione per amoreggiare orgiasticamente con lo shoegaze, facendo spazio sul talamo pentagrammatico al post-rock, a tratti indie, con una vena cantautorale che, diciamocela come va detta: è tipicamente americana e in questo le band Oltreoceano danno piste lunghissime ai colleghi del Vecchio Continente. Non ci sono canzoni balenottere, solo una – “Amethyst” – sfiora i nove minuti, mentre il resto del lavoro vede Clarke e McCoy virare verso un songwriting più asciutto, snello, che va dritto al sodo sacrificando così un pizzico delle atmosfere dilatate e bianco e nere dei precedenti lavori. Certamente la tensione viaggia alta per tutto il disco, d’altronde la mano non si perde da un giorno all’altro e chi ha sfornato lavori enormi come Sunbather o New Bermuda – ma pure gli altri, eh – non può essersi svegliato senza ispirazione. Probabilmente Lonely People With Power è l’album che più di altri può collocare gli americani nell’olimpo del blackgaze (ma direi: della musica tutta) e mi viene davvero difficile pensare che in futuro possano far di meglio. Ma sicuramente verrò sbugiardato, mi ritroverò a piangere di gioia tra qualche mese, con un nuovo album, perché non è solo musica, non è solo comporre dischi, ogni volta è un evento, un’epifania, una fenice, una visita da forme di vita aliena.
E pur non avendo approfondito le liriche posso affermare questo: durante l’ascolto vengono fuori immagini nette, di periferie deserte, di stazioni di servizio sperdute lungo la Rust Belt, di campi di grano a perdita d’occhio, di parcheggi e motel e puttane e droghe sintetiche, di caffè bollente, mance alla cameriera e fast food trasudanti desolazione e smarrimento. La colonna sonora di una civiltà in decadimento, di un gigante steso a terra, colpito a tradimento dal suo stesso taser. La produzione poi è incredibile, un disco che diventa quasi tangibile durante l’ascolto con una nitidezza che onora ogni melodia, ogni scream, ogni sfuriata. Un sound chirurgico ma mai freddo. Che penetra le carni, che trafigge il cuore, che lascia esangui ma felici. Non fatevi ingannare dalla copertina pop, con quella foto che sarebbe stata bene su un lavoro targato PJ Harvey o Melissa Auf Der Maur; qui siamo al cospetto di uno degli album più spietati dell’anno. Meglio farsi trovare pronti.
(Roadrunner Records, 2025)
1. Incidental I
2. Doberman
3. Magnolia
4. The Garden Route
5. Heathen
6. Amethyst
7. Incidental II (feat. Jae Matthews)
8. Revelator
9. Body Behavior
10. Incidental III (feat. Paul Banks)
11. Winona
12. The Marvelous Orange Tree


