La storia degli Ævangelist è tipo una soap opera, tra scissioni, cambi di lineup, qualcuno che prosegue con il nome della band, altri che spariscono dai radar, album pubblicati come nuovi ma che in realtà sono semplici riproposizioni di uscite passate e tante altre belle cosette. E se vi è venuto il mal di testa nel leggere due righe due, pensate a quanto schiaccerete il tasto play di questo ultimo disco, Perdition Ekstasis Meta, che vede il solo Matron Thorn a portare avanti il carrozzone americano (di nascita) e finlandese (di adozione); mal di testa e labirintite assicurati, in quanto il Nostro non conosce limiti e porta la sua proposta musicale su lande oramai lontanissime dal concetto canzone.
Il death/black è sempre la matrice della band, sporcata da numerose pennellate industrial – che conferiscono al tutto una pesante coltre di disagio e sgomento – mentre dissonanze “escono dalle fottute pareti”. Se solitamente apprezzo la sperimentazione, il coraggio di osare,lo spingersi oltre, nel caso degli Ævangelist ho una certa difficoltà nel farlo. Il perché è ben presto spiegato: c’è davvero troppa roba in ogni traccia. Minutaggio estenuante, robe che vengono dilatate di almeno tre, quattro minuti. Melodie e riff circolari, che da pressanti diventano pedanti, quindi un sano disagio nell’ascoltare un disco di musica estrema mi diventa un nocivo disagio che mi allontana, che mi spegne ogni voglia di riascoltare il nuovo lavoro. E questi sono difetti un po’ insiti nella natura del progetto. “Sgrassare con il limone” come direbbe un famoso chef partenopeo, sarebbe la soluzione migliore. Perché non è che mettendo strati su strati su strati di roba fondamentalmente inutile, un brano diventa magicamente interessante o migliore di uno sui tre minuti di durata. Less is more è sempre valido come dogma ma molti musicisti, in pieno delirio di onnipotenza – ma anche di strafottenza – sembrano dimenticarselo in fretta. E così abbiamo un album balenottero, di una pesantezza indicibile, dove si salvano pochissime cose. Talmente poche in un marasma di siffatte dimensioni che si arriva persino a dimenticarsele. Non so, a me non piace mai stroncare un disco – e difatti non lo farò neppure a questo giro – perché dietro c’è sempre un lavoro di mesi, se non di anni, ed ho profondo rispetto per chi porta avanti una passione ardente come la musica; però vanno rimarcati i difetti di un album che probabilmente, snellito di una buona metà di minuti, avrebbe potuto suonare migliore di quello che è. O magari, perché un buon recensore questo deve fare: “e se non fossi io la persona migliore per ascoltare e giudicare il loro operato?“. Perché porsi delle domande, mettersi in gioco, diventa fondamentale nella vita.
Quindi chiudo dicendo che Perdition Ekstasis Meta potrebbe sicuramente piacere ai fan di Deathspell Omega, Portal, Abyssal, Gnaw Their Tongues – fatto salvo le qualità differenti – ma che poteva uscire meglio, più concentrato, conciso, efficace. Non bocciati ma rimandati a settembre con una sonora tirata d’orecchie.
(I, Voidhanger Records, 2024)
1. The Antinomian
2. Fountainhead
3. Endura
4. Wicked Flesh to Spirit Sublimate
5. Metaphor of Ominous Silence
6. Reflected in the Angel’s Blade
7. Plague Blood Redemption
8. The Sword and the Crystal
9. Ekstasis Divinae
10. Portent of Verisimilitudes