Questo disco è del 2024, ci è arrivato in redazione a marzo, dopo altri tre mesi ecco la recensione. Considerato che questo nuovo album ha preso forma tra il 2018 e il 2023, mi vien da dire: chi va piano, va rock e lontano. Ma chi sono questi Aikira? È presto detto: la band nasce dall’esigenza di Fango (chitarra) e Kote (batteria) di approfondire, se non addirittura di espandere, quelle idee nate in seno ai Vibratacore, storica band che vede il succitato Fango come leader indiscusso, scegliendo la via delle jam strumentali dilatate, oniriche, come flussi di coscienza senza soluzione di continuità, senza mai dimenticarsi l’aspetto aggressivo che tanto piace a noi rocker di vecchia data. Dopo due dischi – Aikira del 2014 e Light Cut del 2018 – con una lineup consolidata negli anni con Andrea Alesi (chitarra) e Lorenzo Di Cesare (basso), la band, come detto, comincia a pensare al nuovo album e ci vorranno cinque anni di gestazione per arrivare a questo III.
Nell’ottica di proseguire con la sperimentazione ecco che vengono inseriti cantanti ospiti in alcune canzoni: Marianna D’Ama, cantautrice e polistrumentista e produttrice abruzzese, regala una performance poetica nel brano “Mono Lake”, nel quale è facile creare un parallelismo con i Cult Of Luna di Mariner (con Julie Christmas alla voce) mentre C.U.B.A. Cabbal, uno dei più rappresentativi MC del panorama hip hop underground italiano, gioca sporco nel brano “Alla Vecchia Maniera”, un riuscito manifesto rapcore. Gli Aikira riescono così a dare un senso di freschezza con questi due brani cantati da altri artisti ma attenzione, la band vola altissimo anche nel resto della tracklist con un ventaglio di soluzioni che permettono al minutaggio robusto, un’ora e dieci, di scivolare via come acqua di fonte. Si passa con destrezza dal post-hardcore dell’opener “Daldykan”, un terremotante midtempo con strappi lisergici lungo il suo percorso, al deserto lunare di “Nadir”, con quelle chitarre ossessive, scrupolose, tra post-rock e minimalismo noisy. E se “Green Cat” è il personalissimo vaso di Pandora dei Nostri, con quel post-rock circolare, che sale, sale, sale, una linea vocale effettata leggera che pare arrivare da un’altra dimensione (e quando entra il growl, la pelle d’oca è assicurata), ecco che “Roy Seven Times” è una pozza psichedelica nella quale mettere a mollo i piedi stanchi, dopo un lungo camminare nel labirinto musicale degli Aikira. Ma la bellezza di questo disco continua e ci regala gli ultimi tre momenti, diversi tra loro: abbiamo il groove di “Asymmetric”, che così storto non è, “Pendulum” che prosegue il filone dei precedenti “Elemental”, quindi breve scheggia sonora nata dall’improvvisazione, e “The Fall”, una bestia silente ma non troppo, nascosta nell’ombra ma sempre pronta a graffiare.
III sono convinto sia un grande disco, che necessita sicuramente di svariati ascolti per essere apprezzato in tutta la sua varietà e ricchezza. Ma ogni ascolto è un dono. Che sia la notte di Natale per tutti!
(Autoproduzione, 2024)
1. Daldykan
2. Mono Lake (feat. Marianna D’Ama)
3. Nadir
4. Green Cat
5. Roy Seven Times (Tribute To Roy Sullivan)
6. Alla Vecchia Maniera (feat. C.U.B.A. Cabbal)
7. Asymmetric
8. Elemental 23 – Pendulum
9. The Fall