Gli Amenra si affacciano per la prima volta sul mercato musicale, con i riflettori mai così fortemente puntati su di loro per via del fresco fresco contratto con la Relapse Records. Una carriera bellissima per il collettivo belga che, pur non essendosi mai evoluto molto negli anni sia nei suoni che nella composizione nonostante le ormai parecchie pubblicazioni, ha fatto della propria teatralità drammatica, cupezza e claustrofobia, un vero e proprio marchio di fabbrica, conquistando le vette del panorama sludge mondiale e calcando i palchi più importanti che il metal odierno possa offrire. Muovendosi tra il post-metal più oscuro, il post-hardcore più lento e cadenzato e qualche vago accenno black metal, gli Amenra hanno sempre fatto della propria estetica, un elemento chiave della loro offerta grazie ai loro show incredibilmente coinvolgenti e scenograficamente impeccabili. Degli artisti a tutto tondo che, fin dall’inizio, hanno cercato di ritrarre il proprio mood musicale, in ogni singola componente che riguardasse la band stessa, partendo dalla veste grafica e culminando con la propria espressività. De Doorn, per il sestetto belga e per i fruitori della loro musica, dal momento della firma con la major americana ed il conseguente annuncio della nuova pubblicazione, sarebbe dovuto essere la definitiva consacrazione dopo più dii vent’anni on-the-road, nonché l’emblema della loro unicità e concretezza che ha caratterizzato i fiamminghi fino ad oggi. Ahimè, non è stato affatto così, ma andiamo per gradi.
I singoli, “De Evenmens” e “Voor Immer” che hanno preceduto la nuova release degli Amenra, sono due facce della stessa medaglia: dove con il primo si poteva ricondurre il sound e la composizione ai precedenti Mass V e Mass VI (con qualche dettaglio interessante sviluppato maggiormente come l’utilizzo dello spoken word, il cantato pulito più presente e delle sezioni emotive a sviluppo più cerebrale) con il secondo tutte queste peculiarità si sono rivelate i maggiori punti più deboli del brano. Infatti la componente narrativa perde il proprio impatto teatrale e drammatico per via della lunga durata e della poca incisività, assieme a quella strumentale mantenuta in piedi da un arpeggio che, per circa otto minuti non varia mai, risultando decisamente noiosetto. Si giunge, infine, dopo tre quarti abbondanti del pezzo, alla tipica esplosione a cui la band belga ci ha abituati, stavolta banale e scontata, la quale risulta poco ispirata e mal architettata. Giunti a questo punto, si aprivano due previsioni agli antipodi fra loro: non potevo non chiedermi se l’errore fosse nel considerare “De Evenmens” la traccia di riferimento del disco (quindi qualcosa che funzionasse nonostante le somiglianze con i precedenti lavori) oppure tenere a mente la possibile scia della pessima “Voor Immer”. La risposta è presto servita. Dover ammettere che su De Doorn gli Amenra sembrano aver perso totalmente l’ispirazione e buona parte del senso compositivo è arduo, specialmente da parte di chi li ha sempre amati alla follia, ma tant’è. Escludendo il suddetto discreto ma non esaltante primo singolo, c’è poco altro che merita una menzione in positivo se non il buon finale dal sentore Batushka di “Het Gloren” e la produzione che, per quanto impeccabile ed azzeccatissima, non può da sola, risollevare le sorti di un disco troppo al di sotto delle aspettative. Le chitarre taglienti ricordano, sia nel mood che nel suono, certo black metal moderno, che il collettivo fiammingo non ha mai disdegnato specie nella creazione di alcune atmosfere che, nel full length in oggetto, si notano con più veemenza.
Da una band come gli Amenra ci aspettavamo di più, sicuramente non questo piattume che ci hanno propinato stavolta. Ahimè, totalmente insufficiente.
(Relapse Records, 2021)
1. Ogentroost
2. De Dood In Bloei
3. De Evenmens
4. Het Gloren
5. Voor Immer