Come consuetudine, a distanza di tre anni dal precedente lavoro, gli Amplifier pubblicano un nuovo album: Trippin’ with Dr. Faustus. La formazione rimane inalterata rispetto al precedente Mystoria, in cui Steve Durose e Alexander “Magnum” Redhead subentrarono con l’abbandono di Neil Mahony, confermando la capacità di creare arrangiamenti ricercati senza inficiare sulla potenza dei riff.
L’album può essere diviso in tre sezioni, in base all’atmosfera che trasmettono. La prima è formata da quattro pezzi in pieno stile Amplifier, che puntano all’ascoltatore affezionato al genere dell’hard rock/space rock. “Rainbow Machine” potrebbe far pensare ad una svolta verso dell’ hard rock moderno, ma le distensioni di “Freakzone” e “Kosmos (Groove of Triumph)” ci riportano in una atmosfera space rock molto nota ai fan.
Nella seconda parte dell’album troviamo in alternanza tracce dal forte carattere space intervallate da brani più morbidi. Partiamo da quello che è il pezzo che più rimane impresso dell’intero album, “The Commotion (Big Time Part Maker)”, con un ritornello così ben armonizzato da poterlo ricordare anche quando l’album è terminato; quindi un approfondimento verso lo space rock con “Big Daddy” che esprime il lato più psichedelico dell’album, le chitarre sono visibilmente meno presenti rispetto ai brani più duri ma tornano ad essere protagoniste in “Horse” sostituendo l’aggressività con l’arpeggio quando la voce diventa prioritaria. “Anubis” è forse il brano meno importante, è una ballad in cui la chitarra richiama la musica country e la batteria che si riduce a poco più di cassa e rullante suonato con le spazzole.
La terza parte è quella che suscita senza dubbio più interesse soprattutto con “Supernova”, brano spaziale che ricorda alla lontana l’album Blackstar di Bowie; quindi “Silvio” mostra una interessante armonizzazione sospesa che non si rilassa né nel ritornello, né in chiusura dove lo sfumato (abbastanza raro al giorno d’oggi) si mostra coerente con il resto della struttura. In “Old Blue Eyes”, troviamo un esempio di brano mal incastrato nell’album, infatti il basso effettato e la chitarra fuzzosa fanno il loro lavoro egregiamente ma finiscono in secondo piano rispetto a “Supernova” e “Silvio” lasciando l’amaro in bocca proprio in chiusura.
Quest’album denota sicuramente molti lati positivi, a partire dai suoni molto diversificati e che raramente fanno a pugni fra loro, linee vocali non banali e una potenza che non ci si aspetterebbe da una band del genere, purtoppo tutto ciò cala di fronte alla lunghezza dei brani che si dimostrano apprezzabili entro i sei minuti e iniziano a tediare l’ascoltatore quando si affacciano sugli otto minuti, per lo stesso motivo l’album ha una partenza lenta nonostante le prime tracce abbiano uno stile molto più aggressivo rispetto a quello dei brani che si trovano a metà lavoro.
(Rockosmos, 2017)
1. Rainbow Machine
2. Freakzone
3. Kosmos (Grooves Of Triumph)
4. The Commotion (Big Time Party Maker)
5. Big Daddy
6. Horse
7. Anubis
8. Supernova
9. Silvio
10. Old Blue Eyes