Quando dalla redazione mi hanno chiesto “ci sarebbe questo box contenente le ristampe dei primi tre dischi dei francesi Aorlhac, te ne occupi te?” ho provato a fingermi morto ma non ha funzionato. Per fortuna, direi, perchè così ho avuto modo di recuperare tre album che vanno a comporre la Trilogia dei Venti, un progetto che al netto di qualche passo falso era d’obbligo approfondire. Ma facciamo un passo indietro, perché la storia si fa interessante.
La band si forma nel 2007, prende nome da Aurillac, ridente cittadina situata nel cuore geografico dell’Occitania da cui prendono il nome. In questa regione comprendente la Francia mediterranea, parte dell’area pirenaica spagnola e delle odierne Alpi liguri e piemontesi, si svolgono i fatti narrati nelle canzoni, sia quelle di questi tre album, sia – ma direi soprattutto – di quelle dell’epoca, tra Medioevo e Rinascimento. La ristampa dei tre dischi è curatissima: sia la versione cd, in digipack a richiamare i vecchi manoscritti, sia la versione in vinile, sono una gioia per gli occhi. La rimasterizzazione ha poi portato ad un netto miglioramento del sound rispetto alle uscite originarie.
Gli Aorlhac vivono sostanzialmente due fasi artistiche: come detto, nascono nel 2007 e si sciolgono tre anni dopo. In questo lasso di tempo vedono la luce i primi due capitoli della trilogia.
A la Croisée des Vents è sostanzialmente un EP, mentre nella ristampa verranno aggiunte tre bonus track; sulla copertina non compare ancora il logo della band e l’immagine stessa è ben diversa dallo stile delle successive. Pare trovarsi di fronte ad un disco folk.
La prima traccia, una breve strumentale tra chitarre acustiche e rumori ambientali, parrebbe darci ragione, ma poi i francesi mostrano subito i muscoli con un paio di brani senza tanti fronzoli: black metal epico e selvaggio, senza particolari slanci sul versante della modernità. Un certo gusto per il metal classico, di stampo inglese, spesso salta fuori con riff pulitissimi; il problema è che risulta forzato e poco legato col restante manifesto black metal del trio. Le vicissitudini raccontate nei brani spingono la band a rallentare, inserendo aperture folk, con cori battaglieri e festaioli.
La sensazione finale è di immaturità; si intravedono le potenzialità ma manca una direzione ben precisa.
(Les Acteurs de L’Ombre Productions, 2024)
1. A la Croisée des Vents
2. La Guillotine est Fort Expéditive
3. La Mort Prédite
4. Le Charroi de Nïmes
5. 1693-1694 Famine et Anthropophagie
6. Aorlhac
7. Mémoires d’Alleuze
8. L’Oeil du Choucas
9. Les Charognards et la Catin
6.0
Nel 2010 i Nostri tornano con il secondo capitolo, La Cité des Vents, e le cose cambiano nettamente in meglio. In primis la produzione (si nota soprattutto se si ascoltano le prime versioni dei dischi); in seconda battuta, la scrittura: ora troviamo un gruppo che sa scrivere canzoni ritte sulla schiena, che mostrano un’intensità omogenea lungo tutta la durata del lavoro.
A parte il terzo brano “Plerion” – fin troppo semplicistico il suo suonare sporco e cattivo, la band rende di più nei momenti struggenti e disperati – il resto de La Cité des Vents è di alto livello. Spellbound, che ha fatto passi da giganti con il suo screaming (e con lui il drumming di Necrosis) ci regala emozioni a non finire. Se nell’ascolto si sentono echi di battaglia, se la storia ci entra dentro, se la mente arriva a sentire il freddo della morte, il caldo del sangue, il silenzio della fine, il merito è tutto suo.
L’unico appunto che si possa fare è che gli Aorlhac vanno lunghi. Un paio di minuti in meno per ogni singola canzone avrebbe sicuramente giovato sul giudizio finale.
(Les Acteurs de L’Ombre Productions, 2024)
1. A la Croisée des Vents II
2. Le Bûcher des Cathares
3. Plérion
4. Le Miroir des Péchés
5. Sant Flor, la Cité des Vents
6. Vers les Honneurs
7. La Comptine du Drac
8. Les Enfants des Limbes
7.5
Quando la quadratura del cerchio sembrava dietro l’angolo, la band interrompe ogni sua attività. Devono passare ben otto anni prima che il terzo capitolo, L’Esprit Des Vents, venga pubblicato, ad opera di Les Acteurs de L’Ombre Productions (che per altro cura tutte queste ristampe). Otto anni, un tempo lunghissimo, nel mentre tutto cambia, anche in seno alla band (ora un quartetto).
Il black metal (anche) melodico e epico lascia spazio ad un metal classico spinto all’estremo. C’è molta più melodia, più cura sul cantato – Spellbound si cimenta con successo anche con clean vocals – alle volte sembrano una versione ipervitaminizzata dei Maiden. Certo, la matrice oscura alberga ancora nei Nostri, la mela non cade mai lontana dall’albero: solo che la tracklist è divisa in momenti ben distinti. Brani black tout court e brani NWOBHM dopati come cavalli.
Il risultato finale è spiazzante perché non si capisce bene dove la band voglia andare a parare (forse dovrei ascoltarmi il disco successivo, uscito nel 2021. SPOILER: l’ho fatto e mi pare abbiano trovato una loro strada), ed è un’occasione persa.
(Les Acteurs de L’Ombre Productions, 2024)
1. Alderica
2. La Révolte des Tuchins
3. Infâme Saurimonde
4. Ode à la Croix Cléchée
5. Les méfaits de Mornac
6. La Procession des Trépassés
7. Une vie de reclus
8. L’ora es venguda
9. Mandrin l’enfant perdu
10. L’esprit des Vents
7.0
Quindi cosa mi rimane di questa trilogia? Sicuramente una musica di qualità. Non si può pretendere sempre il top, è fisiologicamente impossibile e sarebbe stupido pretendere il contrario. Gli Aorlhac, nonostante alcuni errori, credo più di valutazione su loro stessi che altro, hanno costruito un loro mondo, un proprio sound, acerbo ok, ingenuo anche, ma al contempo fiero, epico e coinvolgente. Se dovessi scegliere un solo disco, direi senza dubbio il secondo, quello più centrato.