
Avendoci vissuto per quasi dieci anni, posso dire con certezza che il Texas è enormemente piatto e noioso, e per non essere da meno, i texani Architectural Genocide hanno pubblicato un lavoro che è esattamente come il Texas: piatto e noioso. La recensione potrebbe finire qua, ma andiamo in ordine. Gli Architectural Genocide arrivano da Houston, Texas, e sono dediti ad un classico brutal, molto simile a quanto proposto dai padri del genere, come Cannibal Corpse, Cryptopsy, Monstrosity e simili. Nel 2020 hanno pubblicato il loro primo disco intitolato Cordyceptic Antropomorph che non era poi male: un tipico album brutal, che tratta i classici temi tanto cari al genere, suonato e composto bene, che di certo non inventava niente di nuovo, ma che comunque si lasciava e si lascia ascoltare bene, nonostante le canzoni sembrino un po’ tutte uguali. Passano un po’ di anni e li ritroviamo a pubblicare il loro secondo lavoro intitolato Malignant Cognition (che uscirà a metà gennaio 2026).
Adesso, io non so cosa gli sia successo in questi ultimi anni, ma purtroppo la qualità della proposta è calata moltissimo. A me piace il brutal, ma deve però essere fatto bene e con un minimo di idee, altrimenti risulta un già sentito dall’inizio alla fine. Ed è proprio questo uno dei maggiori difetti per questo disco: pochissime idee, in un genere che è già di suo è già da un po’ a corto di idee. Ma non sono solo le idee a mancare. Malignant Cognition è noioso, e lo è per due motivi che hanno veramente testato i miei nervi. Il primo motivo è la prova vocale del cantante Daniel Brockway: se nell’album precedente era una voce perfettamente in linea con il brutal, nel disco nuovo ha cambiato “stile”, ed è diventato un suino a tutti gli effetti: troppo pig squealing, a tratti quasi da presa in giro, e molto monotono per i miei gusti. E se questo non fosse abbastanza, il problema è che sta voce non smette mai un attimo e non lascia spazio alla musica. Il secondo motivo è la batteria: un tupa-tupa-tupa continuo dall’inizio alla fine, che fa a gara con la voce da ungulato di cui sopra, che va a coprire tutto il resto, senza nessuna variazione, nessun tocco personale, o chissà cosa. Solo tupa-tupa-tupa. Che poi la cosa che mi fa arrabbiare è che musicalmente non sarebbero nemmeno male: si sente che sono in grado di scrivere qualche buon riff (ed il disco precedente ce lo dimostra), ma poi entrano a gamba tesa la voce suina ed il tupa-tupa-tupa e annientano tutto il resto. Alcuni momenti interessanti ci sono: l’apripista “Precursor to Bloodshed” non è male (forse perché non ci sono linee vocali…), o per esempio in “Leave It to Cleaver” levano il piede dall’acceleratore e provano a suonare qualcosa di un pelo più diverso dal resto, e soprattutto la voce smette per un attimo di essere un artiodattile, e questa soluzione non è male. Lo stesso o quasi si può dire per “Trophies for My Murders”: voce più convincente, riff e cambi di tempo serrati e ben arrangiati mostrano che quando vogliono sanno scrivere dei bei brani. Un altro esempio è la conclusiva “Stuffed Under Floorboards”, dove un paio di cambi di tempo e, in generale, riff più interessanti ci mostrano che, come dicevo, quando vogliono gli Architectural Genocide ci sanno fare. Tutto questo però non basta a far dimenticare la noia, ed ho fatto tantissima fatica ad arrivare fino alla fine del album…
In conclusione, con questo nuovo lavoro, gli Architectural Genocide hanno fatto un passo indietro rispetto al loro debutto: album noioso, che farà fatica a fare breccia anche tra chi ascolta brutal a colazione.
(Comatose Music, 2026)
1. Precursor to Bloodshed
2. Coercion Into Carnality
3. Leave It to Cleaver
4. Trophies for My Murders
5. Malicious Wager
6. Decent Deranged
7. Zed Requiem
8. Stuffed Under Floorboards


