Se penso alla Svizzera, la prima cosa che mi viene in mente è la noia. Poi però ci sono anche altre cose, come la pulizia, le banche, le montagne, ed il cioccolato, ma la noia di sottofondo che tutto permea e che tutto invade rimane lì e non se ne va. Però, noi che ascoltiamo la musica più bella del mondo, sappiamo che la Svizzera ha saputo darci molto di più, come i Celtic Frost, i Samael, i Coroner, e molti alti gruppi che hanno lasciato (e stanno lasciando) un segno nel nostro mondo. Ecco, tutto sto preambolo per dire che anche gli Arkhaaik sono svizzeri (di Zurigo, ad essere precisi), e anche loro hanno un qualcosa che riesce a farli affiorare dal mare di noia di cui parlavo prima. Gli Arkhaaik, infatti, sono una band del tutto particolare: la loro musica, le tematiche, i testi, le copertine, le foto promozionali e tutto il resto che gira intorno sono incentrati sulla civiltà europea all’età del bronzo (iniziata all’incirca nel 3000 a.c., e terminata intorno al 1000 a.c., così giusto per sfoggiare sapienza rubata da Wikipedia). Il loro primo disco, dall’impronunciabile titolo *dʰg̑ʰm̥tós, era uscito nel 2019 e, dopo aver reclutato un batterista in pianta stabile, nel 2025 se ne escono con la loro seconda fatica intitolata Uihtis (che significa “The Hunt” (la caccia), in qualche lingua ormai morta. Rimanendo fedeli alla loro tradizione, Uihtis basa le sue tematiche sulla caccia durante l’età del bronzo. E dato che i Nostri non vogliono lasciare niente al caso, pure i testi delle canzoni sono state tradotte e ricostruite da un esperto di lingue indo-europee, per farli aderire ancora di più all’immaginario selvaggio e primordiale che gli Arkhaaik vogliono dare. E secondo me, ci riescono molto bene.
Uihtis è composto da quattro lunghissime tracce (la più corta è di 10 minuti, la più lunga di 15). Adesso, dato che sono abituato ad ascoltare canzoni cortissime e che, se una canzone dura più di 5 minuti, io perdo la concentrazione perché ho la soglia dell’attenzione di una carpa, credevo che arrivare in fondo al disco sarebbe stata un’impresa difficilissima, ed invece no. Anzi, ad essere sincero, l’album scorre via che è un piacere, e alla fine della quarta traccia, mi sono ritrovato a schiacciare play di nuovo, e questo di solito è un buon segno. Un’altra particolarità di Uihtis è che concettualmente può essere suddiviso in due capitoli: mentre le prime due tracce narrano di caccia nella maniera più concreta possibile, e del sacrificio animale per ringraziare gli dei, la seconda parte del disco si prefigge di descrivere la caccia in maniera più metafisica, come ad esempio l’eterna caccia del sole nei confronti della luna e viceversa. Riguardo al genere proposto, se proprio sono costretto a farlo, direi che siamo di fronte ad un death metal (?) cavernoso (ovvio!) e rallentato (con qualche accelerazione qua e là), ma mi rendo conto che cercare di catalogare un disco come questo è abbastanza ridicolo e ne sminuirebbe l’immensità. La prima cosa che ho notato subito ascoltando Uihtis è il lato selvaggio della musica, che ricalca alla perfezione il mondo inospitale descritto dalla band. E per lato selvaggio dei brani intendo la particolarissima capacità di riuscire a dipingere nella testa dell’ascoltatore un’immagine perfetta dell’uomo dell’età del bronzo: un uomo alla mercé della natura, che deve affrontare giornalmente un mondo ostile e pericoloso, e che solo con sudore e sangue riuscirà a mantenere viva la sua progenie. E lasciatemelo dire, questa cosa non è facile, e non tutti sono in grado di riuscire a trasmettere immagini così perfette e dirette semplicemente con la musica… Questa peculiarità è resa possibile anche grazie all’uso di suoni, campionamenti, e urla che rimandano al lato più primordiale e selvaggio, appunto, dell’uomo (ascoltate ad esempio la seconda traccia “Hagrah Gurres”, oppure la successiva “HrkÞos Heshr Hiagom”, per capire cosa sto cercando di dire). Data l’intensità e lo spessore delle canzoni, l’album va ascoltato molte volte, e solo così facendo sono riuscito ad assaporarne in pieno tutte le sfaccettature, i particolari, e i sotterfugi che lo rendono così particolare e affascinante, ma soprattutto bello.
In conclusione, gli Arkhaaik sono riusciti nell’impresa di registrare un disco originalissimo e primordiale, che è in grado di far affiorare il lato più primitivo che risiede in tutti noi. Uihtis vi terrà compagnia mentre, armati di arco e freccia e con indosso soltanto una stilosissima mutanda in pellicciotto, state andando a caccia di orsi.
(Eisenwald, 2025)
1. Geutores Suhnos
2. Hagrah Gurres
3. HrkÞos Heshr Hiagom
4. Kerhos Mehnsos