Periodicamente quando le mie orecchie sono sature di metal pesante cerco nell’etere qualche band in grado di far riposare i miei poveri padiglioni auricolari, ma al tempo stesso in grado di regalarmi quel “non so che” che solamente la musica del diavolo sa dare. Intrigato dalla bella copertina presente nel catalogo della Pelagic Records mi accingo ad ascoltare gli Astrosaur ed il loro secondo disco intitolato Obscuroscope. Questa band norvegese ci regala sei pezzi strumentali dalle tinte post/prog/jazz. Premesse veramente molto interessanti.
Una volta catapultati nell’ascolto di questo lavoro si viene letteralmente sommersi da una chitarra dal sapore oscuro, quasi horror. Il primo brano “Poyekhali” è infatti un caleidoscopio di emozioni, si passa da momenti ultra-tecnici a parti ambient molto più tranquille dal sapore malinconico. Già da questo pezzo si capiscono le coordinate di tutto il full length, diviso fra queste diverse sfaccettature. Il trio dal punto di vista tecnico è impeccabile e ognuno di loro suona alla perfezione il proprio strumento. Sembra tutto perfetto, però il tallone d’Achille di questo buon disco è la ripetitività di ogni brano, che ci conduce alla fine dell’opera un po’ affaticati. Nota di merito alla conclusiva “Homewards” dalla durata di 11 minuti, sicuramente la canzone che spicca tra le altre, la summa di questo Obscuroscope.
In conclusione, gli Astrosaur sono un trio veramente interessante dal grande potenziale. Siamo solo al secondo disco e se i Nostri riescono ad aggiustare il tiro nel vedremo delle belle. Avevamo e manteniamo grandi aspettative.
(Pelagic Records, 2019)
1. Poyekhali
2. Karakoram II
3. White Stone
4. Elephant Island
5. Supervoid
6. Homewards