Il clamore di questi ultimi giorni attorno al nuovo disco dei Blood Incantation merita un approfondimento. Perché se ne sta parlando così tanto? Siamo davvero al cospetto di una band che ha staccato il biglietto per l’immortalità? È la nuova promessa del metal estremo, la next big thing che tutti stavamo aspettando? Oppure è solo un gruppo come tanti che vive di un tam tam mediatico, tanto fumo e niente arrosto, giusto per capirci? A conti fatti penso che queste supposizioni siano errate. Tutte.
Facciamo un passo indietro, torniamo nel 2011, siamo in Colorado: tre ragazzotti – Isaac Faulk alla batteria, Paul Riedl cantante e chitarrista, Morris Kolontyrsky all’altra sei corde – nel giro di un anno pubblicano tre demo, oramai introvabilissimi, che smuovono la scena imponendo il loro nome ai fan del death metal tecnico. Alcuni di questi brani finiranno sul primo disco ufficiale dei Nostri, l’extended play Interdimensional Extinction. Siamo nel 2015 e la band, in soli 18 minuti, presenta il suo death metal sinceramente ispirato ai primi anni Novanta, con una tecnica mai fine a se stessa, nessun sofismo, nessuna esagerazione, bensì messa al servizio di brani possenti, dinamici, fantasiosi. Riffing ispiratissimo, basso pulsante, batteria tentacolare – che predilige tempi ragionati ad inutili sfuriate – growl dal sapore antico. Nell’ultima traccia, “Subterranean Aeon” si scorgono le prime infatuazioni per lo sci-fi. (voto: 6.5)
Sempre nello stesso anno, ecco lo split con gli Spectral Voice, ossia un’altra band formata da membri dei Blood Incantation, i quali aggiungono momentaneamente un bassista in lineup, tale Damon Good. Il brano presentato risale ai primi demo, quindi sostanzialmente le cose non cambiano. Death metal spietato, reso più caldo e dinamico dal freetless bass. (voto: 6.5)
Il 2016 vede la pubblicazione del primo album del quartetto (anche se entrerà ufficialmente solo nel 2019, il session man Jeff Barrett si rivela fin da subito un grande acquisto per l’economia del gruppo) intitolato Starspawn. In poco più di mezz’ora Paul Riedl e soci riescono a condensare il loro death metal tecnico, seppur in forma più snella rispetto alle precedenti pubblicazioni, e tutte le loro influenze: andiamo dalla fantascienza ai tribalismi, dalle melodie malsane tanto care ai Morbid Angel alla fascinazione per l’opera di Lovecraft. Nei brani brevi cominciano ad apparire alcuni cambiamenti nel loro sound: più fughe dal sapore psichedelico, fantascientico e spaziale e nella canzone che apre il disco, “Vitrification Of Blood (Part 1) il tutto viene amplificato per gli oltre tredici minuti. Il gruppo di Denver mostra coraggio e consapevolezza; ogni singola nota è un incastro perfetto per un progetto ben più ampio. (voto: 7.5)
Oramai i Blood Incantation sono sulla bocca di tutti ed è nel 2019 che c’è il primo vero botto: esce infatti quello che sarà l’ultimo disco per la Dark Descent Records, ossia Hidden History of the Human Race, con una copertina che da sola lascia intuire parecchie cose, in primis l’ispirazione e l’amore per la fantascienza. Poi le melodie che spesso strizzano l’occhio a danze tribali, riti sciamanici, persino una spruzzata dei Nile durante “The Giza Power Plant” con quella chitarra acustica così mistica. Le influenze di Trey Azagthoth sono presenti e sparse su tutte le tracce, il death torna quindi ad esser supertecnico, il suono reso cocente dalla scelta ardita di registrare su nastro, Jeff Barrett oramai perfettamente inserito nel songwriting. Tutto ciò porta a comporre una suite di 18 minuti, posta in chiusura del lavoro, che viene suddivisa in “movimenti”. Tra di essi i break atmosferici, bilancino precisissimo, mai lasciati al caso. Essenzialmente ci troviamo al cospetto di un disco che segue con coerenza le orme del precedente, composto con più cura nei dettagli – la band diventerà maniacale in questo – con una mole maggiore di riff, e quindi idee, e il cantato che va a incastonarsi alla perfezione. (voto 7.5, quasi 8)
La Century Media fiuta l’affare e mette sotto contratto gli americani che, in barba a qualsiasi logica conservativa, se ne escono con un disco ambient. Niente voce, nessuna chitarra – se non qualche cosa acustica – no anche a basso e batteria, largo spazio a synth, tastiere, percussioni. Timewave Zero non esce benissimo. Ma non per la qualità in sè dei brani – scritti comunque bene – piuttosto perchè il suono dei Blood Incantation, per funzionare alla grandissima, deve amalgamare le due anime della band: quella death metal e quella ambient/psichedelica/progressive rock. Premio al coraggio. (voto: 6)
Luminiscent Bridge invece è il maxi singolo che la band pubblica nel 2023. È curioso come i quattro amino uscire con pubblicazioni diverse tra loro: due tracce, venti minuti e ci troviamo tra il death metal spinto all’eccesso per quanto riguarda la tecnica (mai domi anche sulla potenza) con break melodici e assoli di chitarra davvero ispirati (“Obliquity Of The Ecliptic”) e una lunga fuga strumentale, un bellissimo viaggio nello spazio profondo (la title-track). Tornati a grandi livelli. (voto 7.5)
Ed eccoci qui, al 2024, in quel mare impetuoso di recensioni e commenti che, come onde impazzite, si dividono tra gradimento e disappunto. Io dico fin da subito che Absolute Elsewhere è, per il momento, l’apice artistico dei Blood Incantation. Hanno raggiunto il giusto equilibrio – mi tengo in canna “perfetto” per il futuro – tra le varie anime musicali. Il death metal old style c’è, idem per quello tecnico, e pure quello più moderno, con dissonanze e genialità inaspettate. Un lato estremo che non è mai freddo, l’elevata preparazione allo strumento permette alle due tracce (suddivise entrambe in tre movimenti) di rimarcare buon gusto, ricerca e contaminazione: ecco perché il prog anni Settanta ci sta bene. La psichedelia e il krautrock? Anche. Forse di più. Passaggi con vocals pulite e spoken words? Prego, c’è posto. La particolarità più affascinante di questo percorso artistico – relativamente breve, se pensiamo che dai primi demotape ad oggi sono passati solo 13 anni – è che il sound non risulta mai finto, di facciata, una copiosa pisciata fuori dal vaso. Ogni singola nota è un tassello di un puzzle infinito come lo spazio, i Blood Incantation si travestono da alieni, probabilmente lo sono davvero, e ci portano in giro attraverso cinquant’anni di storia musicale.
D’altronde la band disse “Un disco prog anni Settanta, suonato da una band death anni Novanta”. Avevano ragione.
(Century Media Records, 2024)
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